Antibirth: la dolce attesa è un po’ un trip

La gravidanza è una gran gioia e una benedizione dal cielo il più delle volte, ma può anche rivelarsi un’esperienza terrificante. Specialmente se è indesiderata, accompagnata da strane visioni e da un progresso insolitamente rapido della gestazione.

La protagonista di Antibirth, body horror canadese del 2016 diretto da Danny Perez, è Lou, una ragazza disinibita dedita all’abuso quotidiano di alcol e sostanze stupefacenti. Essa vive in un posto che sembra essere scaturito dall’incontro tra le favelas e i ghiacciai perenni, circondata da miseria, altri drogati e rave riscaldati dalle fiamme appiccate ai bidoni dell’immondizia. Dopo una nottata di bagordi particolarmente intensi, Lou accusa curiosi sintomi, tipici della gravidanza. Ma in stato di totale negazione, rifiutando un consulto medico e indugiando generosamente su bottiglie e pillole di vario tipo, prosegue con la sua vita di tutti i giorni, noncurante della crescita vertiginosamente rapida di qualcosa all’interno del suo ventre e di continue allucinazioni da trip sciamanico. Cosa sta succedendo al corpo di Lou?

Antibirth è un film con un finale non esattamente a sorpresa ma comunque spiazzante: dopo vari indizi disseminati qua e là nel corso della pellicola, arriva un inequivocabile quanto fastidioso spiegone finale che illustra chiaro e tondo e senza possibilità di equivoci cosa stia succedendo a Lou e perché.  Per poi dare un bel colpo di coda finale, concedendoci un breve ma intenso momento splatter che riscatta le lungaggini spezza-ritmo della pellicola.
L’intero film è trainato dal magnetismo della recitazione di Natasha Lyonne nel ruolo di Lou, perfetta in quei panni da junkie degenerata che veste ormai da tempo nella serie Orange is the new black. Accanto a lei, Chloe Sevigny quasi scompare.

Notevoli gli intervalli lisergici tra una battuta da fattoni e l’altra, per il resto Antibirth è un po’ come lo studente intelligente che non si applica, con un discreto potenziale che rimane inespresso.

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