A girl walks home alone at night: l’amore è un morso mai dato

La prima cosa che ho fatto dopo aver guardato A girl walks home alone at night di Ana Lily Amirpour è stata rimanere ferma a fissare il vuoto pensando di aver appena visto uno dei film più belli del nuovo millennio e che se mai avessi aperto un blog sul cinema horror indipendente – cosa che ho effettivamente fatto qualche tempo dopo – avrei voluto dargli un nome che in qualche modo potesse richiamarne il titolo. Ma “Horror Vacui” funzionava meglio di ” A girl watches movies alone at night” e me ne sono fatta una ragione.


La seconda cosa che ho fatto subito dopo aver guardato A girl walks home alone at night è stata, come nel caso di A Ghost Story, immergermi in una nuova visione, alla ricerca di falle e imperfezioni in quel bianco e nero cesellato, da graphic novel; nelle inquadrature mai titubanti, da western; nell’atmosfera triste di un paesaggio post urbano; nelle figure iconiche dei personaggi. Imperfezioni che non intaccano nemmeno un po’ la pellicola e i brividi che lascia addosso.
La terza è stata immaginare di parlarne direttamente con la vampira protagonista, lei:

D: Sei la vampira più magnetica e cazzuta che abbia mai visto. Non che manchino degni esemplari nel cinema, da quando esiste l’horror, sia chiaro. Ma tu sai andare sullo skate e non hai paura di vagare in giro da sola di notte! Indossi un mantello-chador che ti sta benissimo. Terrorizzi e punisci i cattivi. E hai la camera piena di poster alle pareti, come si faceva negli anni Ottanta… È Madonna quella che si intravede?

R: Non esattamente. Le somiglia, ma è una grafica creata ad hoc, come tutti gli altri poster lì dentro. In ogni caso, io non parlerei esattamente di horror. Questo film non ha un solo genere di riferimento.

D: Aridaje. La discussione sul post-horror l’ho già affrontata, una volta basta e avanza. Però hai ragione: la stessa Amirpour ha detto di non aver girato un film di quel tipo, almeno nel senso canonico del termine, né di identificarsi come regista di film horror. A girl walks home alone at night rende omaggio al western, è innegabile: alcuni passaggi della colonna sonora ricordano i film di Sergio Leone, le inquadrature sono chiaramente un omaggio al genere e se vogliamo il motore dell’azione sei tu che dispensi giustizia a suon di canini punendo i cattivi di una città cattivissima e polverosa. A proposito, mi parli un po’ di questa Bad City e di tutta la questione della location? Voi parlate in persiano, siete iraniani, si è parlato di “primo western iraniano coi vampiri”, però poi il film è stato girato in America e la stessa Amirpour è inglese di nascita, figlia di un iraniano espatriato…

R: Sembrerà incredibile, ma certe zone periferiche della California possono in qualche modo ricordare una città iraniana. Bad City è più un luogo metaforico di perdizione, però. Assomiglia al vostro mondo ma non ne fa parte. È uno dei tanti futuri/passati possibili. È una città fantasma, un luogo mentale, una Teheran filtrata e rialaborata.

D: Secondo molti, A girl walks home alone at night è un horror “femminista” della nuova ondata di produzioni portate avanti da donne brillanti e talentuose. Sicuramente tu sei un esempio di forza e indipendenza, almeno fino a un certo punto. Perché più che altro sembri molto sola. Sembri in cerca di qualcosa.

R: Infatti l’argomento principale non è il femminismo, quello fa parte del sottotesto. Qui si parla di solitudine nella sua forma più profonda, un sentimento molto antico ma fuori dal tempo, che mette radici in quella che voi chiamate anima e non se ne va più. 

D: Tranne se magari incontri un bonazzo un po’ strafatto (Arash Marandi, soprannominato “il James Dean iraniano”, pe’ capisse, nda) che ti guarda con gli occhioni grandi e lucidi e ti segue docile fino a casa tua. Sai che fate una bellissima coppia? Sai che quella scena in cui vi avvicinate pian piano mentre in sottofondo parte Death dei White Life mette i brividi?

R: Arash era scappato da una di quelle noiosissime feste dei ricchi. Aveva ancora addosso l’odore di una ragazza e un po’ di roba in circolazione, ma non ha importanza: io e lui abbiamo condiviso un momento importantissimo insieme, perfetto ma pieno di paura. Quella paura lì, di quando ti innamori e ti senti vulnerabile. Le nostre solitudini si sono incontrate, ma era come se si conoscessero da sempre. Hanno fatto un patto indissolubile. 

D: Insomma, ci sei cascata anche tu. Ti sei persino fatta bucare i lobi delle orecchie, così a secco, per indossare gli orecchini che t’ha regalato e che – lo sappiamo tutti – non ha certo comprato in gioielleria. Lui è un uomo ed è mortale, tu ne sei innamorata. È pericoloso, quasi quanto te. A proposito: alla fine poi, non l’hai mica morso a ‘sto ragazzo…

R: Certo che no. Morderlo avrebbe significato condannarlo. Io invece volevo proteggere lui e il rapporto così speciale e prezioso che stava nascendo. Ecco, per me l’amore è un morso mai dato, è un sacrificio personale, un gesto privo di narcisismi e pantomime, un’evoluzione. È smettere di essere dei mostri solitari e fluttuare sospesi come una palla stroboscopica appesa al muro che gira senza curarsi degli altri, protetti dalle mura di una stanza, in un posto privato e sacro, tutto nostro.

D: Un’ultima domanda. Dov’è che siete scappati insieme? Mi dici se ne sia valsa davvero la pena, di non dare quel morso?

R

Non ha voluto dirlo. Dovrei porgere domande meno scomode.

 

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