Non si deve profanare il sonno dei morti. E nemmeno buttare le cartacce per terra.

Né sfidare le leggi della natura in nome del profitto, perché le conseguenze potrebbero essere terribili. Non si deve profanare il sonno dei morti di Jorge Grau è un film pieno di divieti e impedimenti, già a partire dai dialoghi e dalla sceneggiatura. Le sole cose che gli vengono concesse sono l’accesso per direttissima nella hall of fame dei film culto per gli appassionati del genere e una lunga serie di titoli alternativi per le varie riedizioni nazionali: Let sleeping corpses lie, The living dead at the Manchester morgue, Don’t open the windowLe Massacre des morts-vivantsDa dove vieni e Zombi 3, con l’evidente obiettivo di confondere il più possibile le idee allo spettatore.

Il protagonista del film è il giovane capellone George, al secolo Ray Lovelock, catalizzatore di eventi sfortunati in rapida successione: fermatosi a fare rifornimento in un strada di campagna in quel del Lake District inglese, un tamponamento lo costringe a chiedere un passaggio alla giovane donna che gli ha rovinato la carrozzeria della moto e che a breve gli rovinerà anche la vita, Edna. Essa lo convince senza troppe difficoltà a deviare per un paesino poco distante, dove abita la sorella tossicodipendente. L’amenità bucolica del paesaggio attraversato dai due viene turbata però dall’attivazione di un macchinario a ultrasuoni progettato dal governo allo scopo di eliminare gli insetti e preservare le coltivazioni circostanti. Tra le impreviste e tediose conseguenze dell’attivazione di questo macchinario, che induce gli animaletti a divorarsi l’un l’altro, c’è l’inaspettata rianimazione dei morti freschi di giornata, che iniziano ad ammazzare, sbudellare e infettare indisturbati, mentre la polizia locale riversa ottusamente tutti i sospetti sul povero George, l’unico ad aver intuito il collegamento tra il macchinario a ultrasuoni e il ritrovamento di cadaveri rianimati.

I morti viventi di Grau sono un po’ diversi dai classici zombi privi di intelletto: essi strangolano, ancor prima di fagocitare carne umana. Si aggregano in gruppi, uccidono in maniera fantasiosa, sono capaci di sfondare un portone con un crocifisso usato a mo’ di ariete e addirittura azzardano un accenno di gang rape prima di dedicarsi all’attività preferita, lo smembramento. Fanno la prima comparsa a dieci minuti scarsi dall’inizio del film, non si negano all’occhio dello spettatore. Si esprimono con lo sguardo rosso iniettato di sangue. Hanno anche un certo stile, un’allure misticheggiante: lo zombi avvolto dal sudario, dalle performance notevoli, ricorda quasi un dipinto di Antonello da Messina.

Non si deve profanare il sonno dei morti è un horror ambientalista con un chiaro messaggio di fondo, un film in cui gli zombi incarnano la restituzione visiva delle brutture umane e del male perpetrato nei confronti della Natura.
Ma si tratta al contempo anche di un b-movie che alterna dialoghi disarmonici e improbabili a scene dall’alto lirismo visivo, errori di montaggio ad ardite soluzioni registiche, richiami concettuali d’influenza romeriana a riferimenti visuali d’ispirazione fulciana.

D’altro canto, a lavorare a questa produzione italo-spagnola sono maestranze di tutto rispetto: la colonna sonora è di Giuliano Sorgini, il cui nome è legato a pellicole come La bestia in calore e Porno erotico western; agli effetti speciali c’è Giannetto De Rossi, le cui collaborazioni pressoché sterminate vanno da Dune a Quella villa accanto al cimitero, da Alta Tensione a Zombi 2. Chi l’ha già visto, sa. Chi non l’avesse ancora fatto, corra subito ai ripari.

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