Unsane di Steven Soderbergh

[Recensione] Unsane: io sto bene, io sto male

Non sarà certo il primo né tanto meno l’ultimo, ma Steven Soderbergh con il suo nuovo film Unsane, girato interamente con un iPhone, dimostra ancora una volta che le dimensioni  (della videocamera) non contano, è importante come la si usa. E ancora di più contano le idee, soprattutto se si realizza un horror psicologico dall’ambientazione scarna, tutto occhi sgranati e straniamento.

[Attenzione: di seguito, spoiler rilevanti sulla trama]

Unsane è il racconto surreale e straziante delle assurdità che in rapida successione, nel giro di alcune ore, sconvolgono la vita di Sawyer Valentini, una donna forte e sola alle prese con un nemico subdolo e pericolosissimo che solo lei sembra poter vedere e riconoscere: uno stalker, e della peggiore categoria. Sembra trattarsi di un individuo intelligente, tenace e pieno di risorse, la personificazione di un incubo,  che costringe la nostra eroina a cambiare casa, città, vita e lavoro. Con addosso i segni di quello che si configura come una seria forma di disturbo post traumatico da stress, Sawyer si rivolge a un centro specializzato, in cerca di conforto dalle proprie paure. Ma un semplice consulto psicologico si trasforma in un ricovero forzato, in delle sequenze dal sapore kafkiano che spogliano la protagonista dei suoi abiti da borghese e dell’illusione di avere il pieno controllo della propria vita per farle indossare i panni della squilibrata e farla accomodare in un Purgatorio popolato da anime in pena, come lei incastrate lì da una firma su un foglio compilato con noncuranza, senza nemmeno leggere, all’ingresso del centro. In virtù di quel contratto, Sawyer viene trattenuta, sedata, legata al letto e trattata come uno dei tanti casi clinici costretti a vivere un lungo paradosso in virtù del “loro bene”. Ed è qui che Soderbergh innesca un’epopea narrativa basata sul meccanismo dell’ accumulo e su certi colpi di scena spesso prevedibili ma non per questo meno angoscianti: la permanenza di Sawyer nella struttura viene protratta più e più volte, le sue condizioni psichiche sembrano peggiorare, i sospetti sulla natura criminale di quelle detenzioni burocratiche emergono con tutta la loro forza e, come se non bastasse, lo stalker della donna sembra riapparire dal nulla proprio all’interno della clinica, celato sotto le spoglie di un placido infermiere. Che Sawyer abbia davvero perso la testa? Dove finisce il piano della realtà e inizia quello dell’allucinazione? Ciò a cui assistiamo sta accadendo al di fuori dei suoi incubi? La risposta è nei colori vagamente ipersaturi, nelle inquadrature ravvicinate e stranianti, nella disperazione dei personaggi trattati a mo’ di odiose marionette. E nella reazione forte e disperata della protagonista, determinata a uscire dalla risacca di un incubo ossessivo nuotando verso abissi lontani e pericolosi, ma da donna libera. Bravo Soderbergh.

 

1 commento su “[Recensione] Unsane: io sto bene, io sto male”

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