[RECENSIONE] I MORTI NON MUOIONO (E INTANTO SI ANNOIANO)

Non tutte le ciambelle riescono col buco né tutte le “brillanti” commedie horror sono poi davvero così splendide. Nemmeno se a girarle è Jim Jarmush. Nemmeno con un cast bravo e ruffiano. Nemmeno con buone fotografia e messa in scena. Alla sacrosanta curiosità suscitata da The Dead don’t Die – appena uscito in Italia col titolo “I morti non muoiono”, non corrisponde altrettanta soddisfazione, per un horror che omaggia l’horror senza sapere perché.

Centerville è una tranquilla cittadina ubicata da qualche parte negli Stati Uniti, mostrata in tutta la sua postmoderna magniloquenza nordamericana fatta di diner, di case a schiera, di cittadini semplici e generalmente impegnati in dialoghi di una banalità straniante, e di eventi micro o macroscopici destinati a turbare l’andazzo piatto e sereno della vita di provincia.  Come ad esempio lo spostamento dell’asse terrestre che provoca un’alterazione delle ore di luce e buio e il risveglio dei cadaveri nei cimiteri, in barba alle numerose rassicurazioni profuse via radio e tv da politici e compagnie energetiche circa la totale assenza di qualsivoglia pericolo o disagio per la popolazione. E così, quasi in sordina, a portare morte e distruzione arrivano gli zombie il cui vezzo consiste nel reiterare in maniera goffa e ossessiva le azioni che erano soliti fare in vita. I più svegli avranno già stabilito un collegamento mentale con L’alba dei morti viventi di Romero, che Jarmush esplicita senza mezzi termini facendone citare il nome a uno dei suoi personaggi, per fugare ogni dubbio sul fatto che il film sia effettivamente un omaggio al genere horror, per coloro i quali non ci fossero ancora arrivati.

Appurato lo stato di emergenza con i primi sbudellamenti e macabri incontri, agli abitanti di Centerville toccherà difendersi dalle orde di non morti. E il cuore del film sta lì, nelle deboli peripezie di chi perisce e di chi sopravvive, tutti ugualmente protagonisti di un film corale con un cast pantagruelico: Steve Buscemi è un bifolco razzista ossessionato dalla difesa della proprietà privata, a immagine e somiglianza dell’elettore trumpiano medio; Tilda Swinton è un’impresaria di pompe funebri scozzese con spiccate doti da karateka e un aspetto più alieno e stralunato che mai; Larry Fessenden appare, come da tradizione, in un ruolo secondario e tanto basta; Tom Waits è un eremita accampato nel bosco che tutto comprende e osserva; Iggy Pop e Selena Gomez vestono rispettivamente i panni di uno zombie assetato di caffè e di una riccona hipster in visita dalla città; infine Bill Murray e Adam Driver interpretano i poliziotti alle prese con la difesa dei cittadini inermi, caricati del pesante fardello di dover squarciare di tanto in tanto la quarta parete e rivelare agli spettatori di stare interpretando un film, per suscitare il risolino di un pubblico di poche pretese.
L’umorismo è una faccenda molto seria e non sono sufficienti qualche easter egg sparso qua e là o la reiterazione di battute a mo’ di meme per dare a una commedia la giusta grinta. Ed è un peccato, perché quello di Jarmush è pur sempre un film d’autore, con un’ottima fotografia e preziosi intarsi di genio americano, solide interpretazioni e una raffinata gradevolezza di fondo. Che non bastano però a compensare quella vaga sensazione di noia e quel sentore di approssimazione tipici delle pellicole che non sanno bene in che direzione andare. Proprio come gli zombie.

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