[recensione] SATOR: CHI ERA COSTUI?

Sator è una storia ispirata ai reali trascorsi familiari del regista Jordan Graham, che ha scritto, prodotto, diretto, montato e curato con abnegazione nel corso di circa sette anni un racconto ambientato nelle profondità boschive americane, tra ululati del vento, sonorità inquietanti e bizzarre testimonianze di scrittura medianica, dando vita a un film personale e sofferto, dalla struttura lenta e colmo di misteriosi rimandi.

È interessante osservare come nei titoli di coda di Sator, secondo lungometraggio dello statunitense Jordan Graham (il primo confusionario progetto pieno di buone intuizioni, intitolato Spectre , compare qui in un brevissimo cameo), appaia il consueto disclaimer ad avvisare come gli eventi narrati siano frutto di invenzione e che qualsiasi somiglianza con fatti o persone realmente esistenti o esistiti è da considerarsi del tutto casuale. E invece no.
Perché è lo stesso regista, in merito alla genesi del suo cupo horror ambientato nei boschi californiani, a confessare di aver utilizzato una storia di famiglia: i racconti di sua nonna (che di fatto interpreta il ruolo omologo all’interno della pellicola) sui numerosi contatti avvenuti con un’entità chiamata Sator attraverso la scrittura automatica e testimoniati da pagine e pagine di scritti riportati alla memoria.


Tra flashback, spezzoni di filmini d’annata, visioni e azioni ripetute, si dipana in tutta calma una vicenda agghiacciante che vede il protagonista, Adam, vivere un’esistenza quasi eremitica in stato di apparente trauma emotivo, scandita da esplorazioni nei boschi durante il giorno e dalla ricerca di presenze e segni nel corso della notte, intervallate da occasionali visite da parte di suo fratello e da tanti, troppi avvenimenti inspiegabili, aventi come unico testimone il sempre meno lucido Adam e la sempre più totalizzante ermeticità del paesaggio naturale, fatto di crepitii di rami, sussurri nel vento ed una continua e insopportabile assenza di luce. Attraverso vecchie registrazioni e l’analisi di fotografie e filmati, si intuiscono – senza mai vederli con chiarezza – i turbolenti trascorsi della famiglia, funestata dalla sparizione di alcuni suoi membri, da morti crudeli e da legami inenarrabili con l’occulto.


A proposito di occulto: il termine “sator” in latino indica in maniera generica una figura paterna e divina, ed è una delle cinque parole misteriose del Quadrato del Sator, balzato agli onori della cronaca in occasione dell’uscita del colossal di Christopher Nolan “Tenet”.
Dove termini l’aneddotica familiare e inizi la divagazione fantasiosa è difficile a dirsi, ma per poter comprendere come mai la narrazione sia tanto lenta e scarnificata, sarà bene tenere a mente che alla base del racconto c’è un’esistenza reale, legata a momenti di noia e quotidianità, ai racconti sconnessi di un’anziana signora affetta da demenza senile e ai trascorsi di una famiglia che fa i conti con la malattia mentale e con il male, forse metaforico e forse reale, forse come tara ereditaria, forse per misterica predestinazione. I vuoti nella trama e le immagini vaghe corrispondono quindi ai buchi di memoria e ai racconti tramandati ma non esperiti, ai comportamenti erratici, tipici delle menti offuscate.
Quanto ai rimandi più o meno espliciti ad altre pellicole, è lo stesso regista a dichiarare di essersi ispirato a The Blair Witch Project per l’attenzione a suoni e movimenti della natura o per le scene di found footage e a The VVitch di Eggers- uscito quando Sator era già stato girato ma ancora in post-produzione – per alcune composizioni visive di ambientazione silvestre. Si potrebbe anche pensare a Hereditary per semplice analogia di trama, o a qualsiasi altro film horror incentrato sull’occultismo a conduzione geriatrica, familiare e matriarcale: insomma, le valutazioni sulla natura derivativa di questa o quella scena non hanno particolare rilevanza ai fini della comprensione della pellicola.


Sator ha dalla sua un’atmosfera di grande intensità, un sonoro curato con dedizione maniacale e un buon meccanismo di tensione in crescendo. Per contro, è carente in termini di dinamismo narrativo e di convogliamento di suddetta tensione in una direzione specifica, facendo pochissime concessioni allo spettatore: nel film accade ben poco, e spesso ciò che viene mostrato allo spettatore non è chiaro, perché è il ricordo di un racconto, o il racconto di un ricordo, possibile da interpretare solo dopo una (non auspicabile) esperienza diretta con l’ignoto.

3 pensieri riguardo “[recensione] SATOR: CHI ERA COSTUI?”

    1. Quello della watchlist infinita è un problema molto diffuso e difficile da estirpare. Ho cominciato a stilare la mia nel 2015 e ogni giorno aggiungo qualcosa. Quindi buona fortuna! 🙂

      "Mi piace"

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.