È tornato, in forma ibrida sia in presenza al cinema che in streaming su Mymovies, il Trieste Science+Fiction Festival, l’evento che da oramai ventun anni porta in Italia una ricca selezione di nuovi film e cortometraggi di fantascienza, horror e fantasy a suon di “raggi fotonici”.
Tra i tanti titoli proposti, ha trovato spazio la figura del vampiro (con ben cinque pellicole dedicate al tema) declinata nei più disparati modi, insieme alla tematica dell’empowerment femminile.
[Leggi lo speciale sul TS+FF 2020]
Ecco di seguito i migliori film horror (e non) del Trieste Science+Fiction Festival 2021, in ordine di gradimento, secondo Horror Vacui. Per chi fosse curioso di sapere chi sono stati i vincitori del concorso, trova tutto qua.
VAMPIR
(Branko Tomovic – Serbia 2021)

Nel paesino di Rujišnik, Serbia meridionale, sembra tutto strano e misterioso: certe anziane signore vestite di nero appaiono nei sogni – anzi negli incubi-, in chiesa non c’è mai nessuno, il cibo va a male subito dopo averlo comprato, il cimitero non trova pace. Se ne rende presto conto Arnaud, giunto da Londra alla ricerca di un posto tranquillo e assunto come guardiano del cimitero. Incapace di comunicare con la popolazione locale di lingua serba e di comprenderne le azioni e le intenzioni, Arnaud si trova ben presto circondato da attenzioni non gradite da parte degli abitanti del borgo, assediato da incubi feroci e sanguinari, isolato in un luogo a lui sconosciuto e assalito dal sospetto sempre più concreto che il folklore del luogo e i vecchi racconti, peraltro realmente documentati nel diciottesimo secolo, di non-morti tornati in giro per il paese a vampirizzare i vivi, siano ispirati a fatti realmente accaduti e in procinto di accadere ancora. Variazione sobria, intimista e ben congegnata sul mito del vampiro, che attinge a piene mani dal folklore serbo optando per una narrazione posata che si riappropria del tempo e dello spazio per farne coordinate interiori di disorientamento e terrore, tra solitudine, incomunicabilità e desolazione.
GAIA
(Jaco Bouwer – Sudafrica 2021)

Gabi è una guardia forestale impegnata in una missione di controllo nelle intricate profondità di una zona ricoperta di alberi, piante e fitti misteri: perse le tracce del suo collega e feritasi con una trappola, la donna incontra due uomini, padre e figlio, che da anni vivono nella foresta, abbracciando uno stile di vita a metà strada tra il primitivo e il post-apocalittico. Il padre si fa portavoce di un credo mistico-filosofico che pone la natura come divinità e forza creatrice inoppugnabile da onorare, rispettare e soprattutto temere, mentre il figlio segue docilmente i dettami del padre, vivendo in maniera conflittuale l’attrazione fisica che inizia a provare per Gabi.
In compagnia dei due uomini, parallelamente all’innescarsi di curiose dinamiche interpersonali, Gabi si accorgerà ben presto di quanto l’ecosistema che la circonda sia per loro ostile, scorgendo la presenza di mostruose creature antropomorfe ibridate con funghi e altre entità parassitarie: esseri umani, un tempo, trasformati in entità prive di libero arbitrio, rispondenti agli ordini di Madre Natura.
Per ognuno dei tre, la lotta per la sopravvivenza avrà risvolti molto diversi.
Horror ecologico contaminato con elementi del body horror, del coming of age e della psichedelia visuale (con qualche incursione della filosofia e addirittura della religione, con tanto di citazione biblica), Gaia non restituisce l’idea di una natura meramente vendicativa quanto di un sistema che stabilisce la propria sovranità rispetto all’intruso per eccellenza, l’essere umano, fagocitandone la presenza e rendendolo parte attiva del bioma locale, modificandone radicalmente l’esistenza e annullandone l’innata ostilità verso l’ambiente. E costringendolo infine a riflettere su sé stesso e sul proprio ruolo in relazione al pianeta e alla vita.
CHIMERES
(Olivier Beguin – Svizzera 2013)

Durante una vacanza romantica in Romania insieme alla fidanzata Livia, Alexandre riceve una trasfusione di sangue in seguito a un incidente. Da quel momento, inizia a sviluppare strani sintomi che giorno dopo giorno, acuendosi, confermano i suoi timori: si sta trasformando in un vampiro. Tra apparizioni demoniache allo specchio, una crescente sete di sangue e una profonda avversione per la luce, la vita privata e professionale di Alexandre capitola, mentre la sua compagna, che interpreta quei sintomi come una paranoia da ipocondriaco, fa di tutto per aiutarlo a ristabilire una connessione con la realtà. E se Alexandre non si stesse sbagliando del tutto?
Interamente giocato sull’ambiguità tra percezione dei sintomi di un profondo cambiamento interiore e sbilanciamento nei rapporti di forza tipico della codipendenza sentimentale e del vampirismo emotivo, e con un finale sorprendente, Chimères percorre un’interessante parabola tra gli estremi del principio di sospensione del dubbio: siamo davvero sicuri che i vampiri non esistano?
A VOLTE NEL BUIO
(Carmine Cristallo Scalzi – Italia 2021)

La vita degli abitanti di un remoto paesino di montagna viene sconvolta dall’arrivo di un gruppo di persone, di provenienza ignota e malate di un’altrettanto ignota malattia, un morbo simile a un incrocio tra lebbra, vampirismo e dolore esistenziale, costrette a cibarsi di sangue per sopravvivere ma non ancora prive della loro natura umana, delle loro capacità empatiche e affettive. Il rapimento da parte dei non-morti di Giacomo, bambino dalla spiccata sensibilità e dotato di capacità medianiche, scatenerà una violenta reazione da parte degli autoctoni. Pellicola sperimentale con una forte vocazione da art house film, A volte nel buio è un racconto atipico e d’ atmosfera dotato di una sua precisa identità e volontà artistica, di un sostrato perturbante che attinge sia dalle antiche tradizioni folkloriche popolari legate all’esoterismo boschivo e alle leggende sul vampirismo, sia da un’elaborazione angosciante e mortifera del senso di appartenenza e distacco e infine di una spiccata venatura horror, soprattutto nelle scelte estetiche. Il racconto non lineare, svincolato dalle tradizionali coordinate spazio-tempo e denso di incursioni oniriche, è affidato totalmente ai silenzi, alla musica, alle immagini, a una quasi totale assenza di dialoghi e a una voce narrante, quella del piccolo Giacomo che vede i fantasmi, si mette in contatto con loro e poi si ritrova a tu per tu con i malati giunti dall’ignoto. Un film peculiare, con una sua complessità intrinseca che si prende i propri tempi, dilatandoli all’inverosimile, forte di tante buone intuizioni e capace di inquietare risvegliando paure ataviche, penalizzato da qualche sbavatura che sfocia nell’incomprensibilità e in un’alternanza quasi disforica tra concitati momenti di choc visivo e altri di pura stasi narrativa, fortunatamente privo dei cliché dell’horror tradizionale – e quindi poco digeribile per gli amanti dei blockbuster – ma di sicuro impatto per chi ama le pellicole atipiche e le ibridazioni di genere. Una notevole opera prima e un interessante esempio di cinema italiano indipendente, da tenere d’occhio.
LAMB
(Valdimar Jóhannsson, Islanda 2021)

Una coppia di allevatori vive una vita scandita dai ritmi lavorativi della campagna, tra greggi di pecore e semina dei campi. Un giorno, una capre dà alla luce una curiosa creatura dal corpo umano e la testa d’agnello. I due decidono di tenere con sé la bambina, chiamandola Ada e crescendola amorevolmente come la propria e destituendo ogni titubanza nei confronti del surreale miracolo biologico al loro cospetto. La condizione idillica da famiglia felice viene però turbata, ora da un ospite inatteso, ora dal belato insistente della madre biologica della piccola Ada, ora da una continua e inafferrabile sensazione di inquietudine e di cattivo presagio.
Lamb è una favola surreale di grande atmosfera, dai tempi lentissimi e con un legame labile, quasi inesistente, con l’horror: è una riflessione amara e commovente sulla natura effimera della felicità, destinata a giungere inaspettata e altrettanto inaspettatamente andarsene, in barba ai disperati (e sleali) tentativi di trattenerla a sé. L’ambientazione islandese e un’eco lontana di folklore mitologico, insieme a una sensazione di angoscia latente, malinconico languire ed ineluttabile predestinazione, fanno di questo film un interessante esperimento sul filo del rasoio, non per tutti i palati.
INFERNO ROSSO: JOE D’AMATO SULLA VIA DELL’ECCESSO
(M. Gomarasca/M. Zanin – Italia 2021)

Inferno rosso è il documentario definitivo per scoprire la vita, la carriera, i (troppi pochi, in proporzione) successi e gli eccessi all’insegna dell’ossessione per il mondo del cinema di Aristide Massaccesi, prolifico regista – ma anche produttore, autore, direttore della fotografia – di pellicole di ogni genere, dall’erotico all’horror passando per il western, l’exploitation e la fantascienza. Già presentato al Festival del cinema di Venezia, è una testimonianza imprescindibile per la ricostruzione della carriera e una riabilitazione dell’immagine, di un autore di culto spesso sottovalutato e infine fagocitato da quello stesso mondo per il quale ha sacrificato tutto sé stesso.
LET THE WRONG ONE IN
(Conor McMahon – Irlanda, 2021)

Dublino è funestata da un’epidemia… Di vampirismo. Pare che un gruppo di ragazze, non esattamente di primo pelo ma ancora in grado di reggere la tipica vita notturna dublinese a suon di pinte di birra e festeggiamenti sfrenati tra locali, sia stato trasformato in una gang di vampire assetate di sangue e che, tra un morso e l’altro, il contagio stia sfuggendo di mano. Capita così che durante una notte brava, Deco – un passato da tossicodipendente alle spalle, un presente da spiantato perdigiorno e un futuro incerto – venga morso al collo e si trasformi, quasi senza accorgersene, in un vampiro. Chiesto aiuto al riluttante fratello minore, inizia per entrambi un’escalation di avventure tragicomiche innescate dall’incontro del signor Henry, un cacciatore di vampiri in incognito, grande appassionato di treni e ferrovie, a capo di una fitta rete di taxisti specializzati nella ricerca e nell’uccisone dei non-morti. Il dettaglio importantissimo da sapere sul signor Henry è che viene interpretato da Anthony Stewart Head, l’attore che ha impersonato il professor Giles in Buffi l’Ammazzavampiri.
Let the wrong one in è una commedia horror dal forte accento irlandese (in senso letterale, per come parlano i protagonisti, ma anche per l’umorismo al contempo sottile e ingenuo tipico di un popolo festaiolo e imperturbabile qual è quello di Dublino), un divertente compendio di gag, parodie e cliché comici legati all’horror vampiresco con in tralice una storia di fratellanza e l’inevitabile metafora sulla tossicodipendenza.
JAKOB’S WIFE
(Travis Stevens – Stati Uniti 2021)

Anne è sposata da trenta, noiosissimi anni con Jakob, pastore della periferia residenziale, un uomo abitudinario dagli insopportabili comportamenti controllanti e oppressivi. Desiderosa di essere desiderata, valorizzata e rispettata nella sua autonomia, Anne vede per puro caso esaudito il suo desiderio attraverso il morso di un vampiro che da qualche tempo si nasconde in un magazzino abbandonato nelle vicinanze di casa: d’improvviso, la donna riacquista il suo appetito sessuale, una gran forza, la voglia di valorizzarsi e una notevole sete di sangue. Scoperta la verità, Jakob dovrà – per una volta – impegnarsi per avere indietro ciò che aveva dato troppo a lungo per scontato e per imparare a rispettare la compagna. Che dal canto suo dovrà scegliere se abbracciare il nuovo stile di vita baldanzoso e indipendente o rinunciarvi in nome dell’amore e del focolare domestico.
Jakob’s wife è una commedia dal sottotono drammatico, più da sorriso a denti stretti che da risate a pieno regime, che parla di femminismo e liberazione dal patriarcato, del grosso malinteso legato al concetto di reciproca sopportazione alla base dei rapporti di lungo corso, di adulti che imparano a esserlo perché non è mai troppo tardi.
Valore aggiunto di questo film è la presenza iconica di Barbara Crampton nel ruolo della signora Fedder e di Larry Fessenden nei panni del pastore Fedder.
ROSE: A LOVE STORY
(Jennifer Sheridan – Regno Unito, 2020)

Rose, una donna estremamente gentile ed empatica, pallida, fotofobica e costretta a un regime alimentare controllato a base di sangue, vive in una casetta isolata di montagna insieme al compagno, che provvede a tutte le sue necessità e gestisce il rapporto con quel mondo esterno e lontano, a valle, dove la vita degli altri sembra procedere normalmente, mentre i due sembrano vivere in un contesto pandemico e sopravvivono attraverso rifornimenti periodici, generatori elettrici e improbabili staffette dei beni di prima necessità. Non è chiaro (e non è importante) cosa abbia reso Rose una vampira, quando e perché. Tutto ciò che importa, in questa storia d’amore, di perdita e di sacrificio, è l’interazione tra i due protagonisti, la cui esistenza da incubo viene trasformata, almeno per un po’, in una vita quasi idillica, in una lunghissima luna di miele lontana da tutti: all’ipersensibilità di lei fa da contrappunto l’iperprotettività di lui, mentre la dipendenza dall’aiuto altrui di Rose fa il paio con la totale abnegazione del compagno. Finché, dall’esterno, giunge un elemento destinato a sconvolgere le abitudini, i fragili equilibri e il controllo precario del male di Rose.
Struggente e atipica storia di vampiri che schiva saggiamente tutti i cliché del caso per virare verso derive molto più minimali, Rose concede molto – forse troppo – poco tempo all’azione e all’adrenalina, concentrandosi sui risvolti interiori e intimistici di quella che è la condizione di solitudine per eccellenza e che quindi, per tautologia, non può essere vissuta insieme a, né condivisa con, la persona amata.
EL NIDO
(Mattia Temponi – Italia/Argentina 2021)
L’epidemia – un’epidemia simile a quella degli zombi, dai contorni poco chiari ma dalle conseguenze nefaste – ha travolto tutto e tutti, costringendo il mondo a riorganizzare integralmente il proprio stile di vita, offrendo come edulcorata e accattivante soluzione per le quarantene una soluzione abitativa modulare chiamata “Il nido”, configurata e attrezzata per la sopravvivenza dei sani ma soprattutto per l’isolamento e la soppressione dei malati. Così succede che la giovane Sara, contagiata da un morso, e il volontario Ivan, incaricato di sopprimerla appena constatati i primi segni del contagio, si ritrovino isolati all’interno di un Nido a dover gestire una pericolosa situazione di stallo: lei non vuole morire ma fatica a controllare i propri istinti sempre più inumani, lui non vuole ucciderla perché confida in una forma di guarigione, ma dovrà risponderne al mondo esterno.
Opera prima essenziale e con qualche pecca, ma mai priva di eleganza, El Nido è dramma claustrofobico consumato all’interno di un microcosmo isolato, alimentato dall’inevitabile irruzione della paranoia, della manipolazione e dal gioco vittima-carnefice con un continuo scambio di ruoli. E ogni riferimento a fatti, persone e pandemie realmente esistenti è da considerarsi – incredibile ma vero – puramente casuale, dato che il film, uscito recentemente, era in realtà stato ideato e scritto (e in parte realizzato) già prima dell’avvento del Covid-19.
WITCH HUNT
(Elle Callahan – Stati Uniti 2021)

In un universo parallelo simile al nostro in maniera preoccupante, la magia esiste e la stregoneria negli Stati Uniti è dichiarata illegale, perseguita attivamente dai cacciatori di streghe con interrogatori, prove mutuate direttamente dal medioevo, torture e all’occorrenza pena di morte (il rogo, come da tradizione). Le uniche alternative per le streghe e per le loro figlie sono nascondersi o cercare asilo in Messico. L’adolescente Claire e sua madre aiutano in gran segreto le streghe che vogliono raggiungere il confine, ma il rischio sempre crescente di destare sospetto tra amici e vicini e una serie di eventi inspiegabili, insieme all’arrivo di due giovani streghe recentemente rimaste orfane, portano Claire a mettere in discussione sé stessa e il suo rapporto conflittuale con la magia. Fiabesco coming of age dalla trama citofonata e in salsa teen, Witch Hunt è un racconto in cui, ovviamente, qualcosa simboleggia qualcos’altro, nel caso della stregoneria non serve fare sforzi e voli pindarici per cogliere l’essenza di quello che si configura, né più né meno, come un edificante racconto di fantasia sull’emancipazione femminile.
AH! Bene, fa piacere leggere recensioni horror. Gaia non é male, ultimamente sono usciti un po di film a tema ibrido uomo-fungo (tipo In the Earth). Questo mi é sembrato il più interessante, In the Earth ha un ritmo estremamente e inutilmente lento…Fessenden é un mito, non riesco mai a guardare i suoi film cons pirito critico, Jackob’s wife l’ho trovato eccezionale e originale. Molti dei film descritti non li ho visti, cerco di recuperare.
Ti segnalo The deep house (non originalissimo come tema, ma certamente originale per location e modalita di ripresa) e Coming Home in the Dark
"Mi piace"Piace a 1 persona
Concordo con te su In the Earth. The deep house e coming home in the dark visti e piaciuti (più il secondo). Grazie per le dritte e per avere letto il post!
"Mi piace""Mi piace"