Si è appena conclusa la terza edizione di Oltre lo Specchio – Il lato oscuro del cinema di genere, festival cinematografico milanese che nel 2021 ha aggiunto alla programmazione pellicole di genere horror, thriller e noir a quelle di fantascienza e fantasy.
Ecco i titoli dei migliori horror di Oltre lo Specchio 2021 secondo Horror Vacui, in ordine di gradimento. I vincitori li trovate qua.
THE QUEEN OF BLACK MAGIC – Ratu Ilmu Hitan
(regia di Kimo Stamboel – Indonesia, 2019)
Tre amici d’infanzia si ritrovano da adulti, insieme a mogli e figli, nell’orfanotrofio in cui sono cresciuti per visitare l’uomo che si era preso cura di loro, ora anziano e gravemente malato. Quella che avrebbe dovuto essere una piccola gita fuori porta all’insegna dei ricordi, si trasforma gradualmente in un inferno personale e collettivo, scatenato proprio dal riemergere di memorie, traumi e misteri dal passato. Sulla casa e su chi vi dimora grava infatti una forza oscura e terrificante, che inizia a manifestarsi coi raccapriccianti segnali tipici della magia nera: apparizione di insetti striscianti, azioni in stato di trance, perdita di coscienza, allucinazioni e gesti incontrollabili sempre più sanguinolenti. Chi si nasconda dietro a questi atti di stregoneria e perché, lo scopriranno gli ospiti dell’orfanotrofio, nel più sconvolgente dei modi.
The Queen of Black Magic richiama – pur non essendone propriamente un remake o un reboot – l’omonimo film del 1981, sul quale troverete un approfondimento nello speciale su horror e magia nera nel cinema indonesiano, per l’analogia con alcuni personaggi e con il tema portante della vendetta attraverso la magia nera, ma con effetti speciali estremamente credibili e una narrazione fitta di eventi e non dispersiva, un accettabile numero di jumpscare e un’altrettanto congrua quantità di ottime trovate sceniche. Ancora una volta l’Indonesia regala un significativo apporto – e una ventata di marcescente freschezza – al genere horror, grazie ai suoi maestri del brivido contemporaneo: la sceneggiatura è stata scritta da Joko Anwar (Satan’s Slaves, Impetigore), mentre alla regia c’è Kimo Stamboel, già autore e co-direttore insieme a Timo Tjiahjanto (V/H/S2, May the Devil take you, V/H/S94) di due interessanti e poco conosciute pellicole: Macabre del 2009 e Killers del 2014.
GAIA
(regia di Jaco Bouwer – Sudafrica 2021)
Già visto e apprezzato al Trieste Scienze+Fiction Festival, Gaia è un ottimo horror ecologico contaminato con elementi del body horror, del coming of age e della psichedelia visuale (con qualche incursione della filosofia e del misticismo religioso), che parla di una natura sovrana e ostile rispetto all’essere umano, che soggioga fagocitandone la presenza e rendendolo parte attiva del bioma locale, modificandone così radicalmente l’esistenza. E costringendolo infine a riflettere su sé stesso e sul proprio ruolo in relazione al pianeta e alla vita.
VIOLATION
(regia di Dusty Mancinelli e Madeleine Sims-Fewer – Canada, 2020)
Miriam e Greta, due sorelle dal passato turbolento, si ritrovano per qualche giorno di svago in una casa al lago con i rispettivi compagni. Entrambe le coppie sono in crisi, ma per motivi molto diversi. Tutto cambia nel corso di una notte, quando Miriam e suo cognato rimangono da soli. Violation è un drammatico rape & revenge che in maniera cruda e straziante racconta il dolore dal punto di vista di chi lo subisce e la vendetta fredda e feroce che ne consegue, senza concentrarsi sull’atto dello stupro ma indulgendo nell’osservare la sopraffazione dello stupratore, tramutato in vittima inerme con una spiazzante e impressionante inversione di ruoli, come prevede il genere del r&r, con una punta di realismo e angoscia destinati a rimanere impressi a lungo nella memoria. Ottima l’interpretazione di Sims-Fewer nel triplice ruolo di protagonista, regista e sceneggiatrice e ottime le scelte visive e narrative, che ricordano in alcuni momenti l’estetica di Von Trier e le placide stragi crudeli di Michael Haneke.
THE BOY BEHIND THE DOOR
(regia di David Charbonier e Justin Powell – Stati Uniti, 2021)
Due ragazzini vengono rapiti e portati in una casa, una casa qualunque in una tranquilla zona periferica, dove adulti insospettabili sono soliti incatenare, seviziare, violentare e uccidere i bambini a loro piacimento. Uno dei due riesce inizialmente a fuggire, ma non riesce ad abbandonare il suo migliore amico, rimasto incatenato e supplicante in una soffitta che trasuda orrore. The boy behind the door propone lo schema ben collaudato del “cat and mouse thriller” in cui i ruoli dell’inseguitore e dell’inseguito finiscono con l’invertirsi ma rimane imbrigliato in un meccanismo della tensione maniacalmente studiato, al punto da sfociare nella prevedibilità.
SON
(regia di Ivan Kavanagh – Irlanda/Stati Uniti 2021)
Laura è disposta a tutto per proteggere suo figlio da certi personaggi inquietanti sbucati dal passato della giovane donna, cresciuta in una setta e pratica – suo malgrado – di evocazioni demoniache. Le cose per i due si complicano quando il bambino inizia a manifestare i segni di una malattia sconosciuta e qualcuno inizia a seguirli – e perseguitarli – ovunque.
(regia di Dasha Nekrasova – Stati Uniti, 2021)
Già visto e apprezzato al TOHorror Fantastic Film Fest 2021, il film racconta le raccapriccianti scoperte legate a un lussuoso appartamento di Manhattan, appartenuto al miliardario pedofilo Jeffrey Epstein e affittato a costi sospettamente bassi a due ragazze, le quali cadranno in una rete di misteri, complotti e orrori legati a quella casa e a chi ci gira intorno. Lo stile omaggia vagamente il giallo all’italiana mentre la recitazione sguaiata, come in certi b-movie, richiama lo squallore dei fatti realmente accaduti e dei personaggi del jetset statunitense coinvolti in questo assurdo fatto di cronaca americana.
ZALAVA
(regia di Arsalan Amiri – Iran 2021)
È possibile rinchiudere un demone in un barattolo di vetro e renderlo inoffensivo? Secondo gli abitanti di Zalava, un piccolo villaggio rurale iraniano popolato dai discendenti di una tribù nomade particolarmente superstiziosa, sì: ogni anno, un demone si aggirerebbe nel villaggio pronto a possedere chiunque voglia, salvo poi essere allontanato grazie a un esorcismo e a qualche colpo di arma da fuoco sul posseduto, che se la caverà con un arto in meno e una purificazione conclamata. Secondo il sergente della gendarmeria locale invece è tutta una truffa. E così, attorno al barattolo che diventa involucro di un MacGuffin demoniaco, inizia a snodarsi un dramma corale in cui realtà e superstizione si fondono e si confondono. Zalava ha un legame molto sfilacciato con l’horror ed è decisamente alieno alle vicende di possessione tradizionalmente rappresentate nel cinema occidentale: è più un racconto di folklore, psicosi collettiva e paura in cui il male è invisibile, mentre i suoi effetti sono sotto gli occhi di tutti.
SOUL – Roh
(regia di Emir Ezwan – Malesia, 2020)
Una donna e i suoi due figli trascorrono una semplice esistenza in una palafitta nascosta tra la fitta vegetazione, occupandosi della sussistenza quotidiana, le cui attività principali spaziano dal procacciarsi il cibo al raccogliere il carbone da rivendere nel villaggio più vicino. A sconvolgere le loro vite sarà l’incontro con una misteriosa bambina apparsa dal nulla, chiusa in un inquietante mutismo e foriera di un funesto quanto incomprensibile presagio. Ai tre non resterà altro che tentare di comprendere, prima che sia troppo tardi. Soul è un film i cui pregi e le intuizioni azzeccate si rivelano allo stesso tempo dei limiti: se a un budget evidentemente limitato corrisponde la sacrosanta idea di sfruttarlo nel modo più intelligente, dando un’impostazione minimale al film con una location – la meravigliosa foresta pluviale malese che qui sembra prendere vita e nascondere tremendi segreti – ridotta all’osso e con un cast limitato a cinque/sei attori, delude la mancata valorizzazione di quei luoghi già dotati di un notevole potenziale ammaliante e degli attori, le cui interpretazioni creano vuoti anziché riempirli. Il risultato è un film più che lento: inamovibile.
THE DEVIL BELOW – Shookum Hills
(regia di Bradley Parker – Stati Uniti, 2021)
In Turkmenistan c’è (davvero) un cratere di gas naturale che, collassato nel 1971 in conseguenza degli scavi che vi si effettuavano vicino, è stato dato alle fiamme nella speranza di esaurirne rapidamente le esalazioni gassose ma che tuttavia continua a bruciare, tanto da meritarsi il titolo di “Porta dell’Inferno”. In Siberia, c’è (secondo una leggenda metropolitana iniziata a circolare negli anni Ottanta) una cavità scavata nel terreno a una profondità tale, da aver raggiunto l’inferno, dal quale giungerebbero urla e suoni fin sulla superficie. Traendo spunto da queste e altre storie di disavventure e fatti inspiegabili intorno a miniere, scavi e ritrovamenti in profondità, la cittadina di Shookum Hills negli Appalachi statunitensi sarebbe scomparsa misteriosamente dopo un incendio divampato in miniera, il sito chiuso e gli abitanti mai più ritrovati. Un team di prodi esploratori decide di investigare sulle sparizioni, scoprendo man mano e a suon di morti l’incredibile segreto nascosto nelle profondità delle miniere. The Devil below ha dalla sua tutto il potenziale di un’ambientazione suggestiva e claustrofobica che un sito minerario abbandonato nella regione appalachiana può avere, mentre pecca di avarizia nello sviluppo dei personaggi, ridotti a orpelli di sceneggiatura privi di pensiero, e nel mostrare i mostri, che come implica lo stesso termine, non dovrebbero restare troppo nascosti.
IRUL: GHOST HOTEL
(regia di M.S. Prem Nath – Malesia, 2021)
Il Crag Hotel è un vecchio albergo abbandonato nell’isola di Penang, in Malesia. Una troupe formata da alcuni documentaristi amatoriali ed esploratori di luoghi infestati – armati delle inevitabili telecamere d’ordinanza – decide di passarci la notte per svelarne i misteri. Ovviamente le cose non andranno bene. Ovviamente le uniche a sopravvivere (non si sa bene come) saranno le immagini confuse di morti, fantasmi e uccisioni sacrificali catturate qua e là durante le registrazioni.
Prodotto ben poco originale, con citazioni da Shining e The Blair witch project piuttosto ovvie e superficiali appiccicate qua e là, Irul: Crag Hotel è un found footage canonico, per nulla memorabile.
THE LIFT – Thang Máy
(regia di Peter Mourougaya – Vietnam, 2021)
Secondo una leggenda metropolitana coreana, facendo il cosiddetto gioco dell’ascensore si riuscirebbe accedere a una dimensione parallela. È sufficiente seguire pedissequamente le regole: entrare da soli, meglio se di notte, in ascensore, pigiare i tasti dei piani in una sequenza ben precisa, evitare di guardare o parlare con la donna-fantasma che si incontrerà al quinto piano pena la morte, giungere intonsi al decimo piano e ritrovarsi in un mondo simile a quello reale, ma nel quale mancano le luci, i telefoni non funzionano e si è totalmente soli; chi desiderasse tornare sano e salvo alla vita, potrà farlo rientrando nell’ascensore e ripetendo l’esatta sequenza dei tasti. Va da sé che ogni trasgressione alla regola comporterà conseguenze disastrose. Secondo alcune fantasiose teorie circolate anni fa su internet riguardo alla misteriosa morte di Elisa Lam al Cecil Hotel di Los Angeles, le famosissime e bizzarre immagini girate poco prima della sua scomparsa avrebbero immortalato la ragazza mentre giocava al gioco dell’ascensore, vedendo cose che non appartengono al nostro mondo. L’epilogo della vicenda dimostra che la realtà è spesso più triste e terrificante di qualsiasi leggenda metropolitana.
The Lift (che non ha nulla a che vedere con Elisa Lam e nemmeno con l’omonimo film del 1983 diretto da Dick Maas) racconta le improbabili disavventure di un’adolescente terrorizzata dagli ascensori, la cui migliore amica scompare in un vecchio ospedale psichiatrico dopo aver fatto il gioco dell’ascensore, e che un giorno porta con sé l’amata cugina nello stesso ospedale psichiatrico abbandonato, convincendola a fare anche lei il gioco dell’ascensore. Sembra logico. Cosa potrà mai andare storto? Tutto, e ben prima di mettersi a salire e scendere tra i piani a caccia di fantasmi: tra cattiva recitazione, momenti cringe, scene prive di senso e una storia incomprensibile, il film fa acqua da tutte le parti mentre l’unica parte salvabile rimane quella interpretata dall’ascensore.