A ventitré anni da ExistenZ, David Cronenberg torna ad abbracciare il suo body horror con un film al quale plasma i connotati in maniera estremamente personale e intensa. Ecco la recensione in anteprima di Crimes of the Future, in uscita nelle sale italiane il 24 agosto 2022.
In un futuro imprecisato ma non troppo distante né troppo diverso dal nostro presente, l’umanità ha subìto dei cambiamenti fisici, psicologici e collettivi piuttosto curiosi: la percezione del dolore fisico si è drasticamente abbassata fino a sparire quasi del tutto, la presenza di virus e patologie infettive sembra non rappresentare più una minaccia per l’incolumità degli individui e la biotecnologia è nel suo periodo di massima gloria, grazie alla presenza di certi macchinari e interfacce d’ausilio per le funzioni corporee profondamente interconnessi e personalizzabili: c’è il letto che aiuta a dormire bene, la sedia che consente di deglutire e avviare correttamente la digestione, eccetera. Ciononostante, la società del futuro non è più sana di quella attuale, poiché per contro è molto diffusa la tendenza a sviluppare delle forme pseudo-tumorali dalla crescita piuttosto rapida e imprevedibile, piccole appendici sparse qua e là nel corpo, spesso prive di una funzione e talvolta simili a nuovi organi vestigiali, delle quali sbarazzarsi nel più breve tempo possibile.
Saul Tenser e Prestige sono una coppia di artisti concettuali che della ricorrente asportazione degli organi hanno fatto una forma di spettacolo d’avanguardia, molto seguito e invidiato dall’intellighenzia locale, ma anche da due strambi funzionari governativi, da una setta cospirazionista e dalla polizia. Tenser ha l’aspetto di un malato terminale, vive in uno stato di costante dolore e fastidio, ha bisogno dell’aiuto dei macchinari per mangiare, riposare e dormire. Durante gli spettacoli, Prestige esegue delle operazioni chirurgiche dal vivo di fronte a decine di ammiratori e asporta gli organi da Saul, generando reazioni di eccitato stupore, poiché – come detto ben presto in quello che potrebbe essere il claim del film – “la chirurgia è il nuovo sesso“.
I burocrati del governo invitano i due artisti a partecipare a un grandioso progetto di registrazione e archiviazione dei nuovi organi, così da tenere sotto controllo lo scarto evolutivo e scongiurare quello che sembra il più grande e terrificante tabù di questa società anestetizzata: la perdita dell’umanità e la trasformazione in qualcosa d’altro. I cospiratori anti-governativi sono invece un gruppo di evoluzionisti radicali che spingono in direzione opposta, provando a rendere geneticamente trasmissibili alcune caratteristiche frutto di impianti, come ad esempio un organo in grado di digerire la plastica. Il percorso di questi tre gruppi si incrocia nel momento in cui Saul e Prestige vengono invitati a eseguire durante una performance artistica l’autopsia di un bambino, ucciso dalla madre perché “non umano”, in grado sin dalla nascita di mangiare e assimilare la plastica, il cui padre è all’interno della setta degli evoluzionisti radicali e in contatto con Saul, che collabora segretamente col Governo come infiltrato.
Questa la trama, mediamente complessa, non sempre ben delineata e le cui traiettorie convergeranno verso un finale dai contorni vaghi e indefiniti: Crimes of the Future è un film in cui talvolta l’extradiegetico prende il sopravvento sul diegetico, poiché succedono molte cose, ma altrettante vengono raccontate, accennate o lasciate intuire ed è solo grazie a queste ultime che tutto il resto della pellicola assume un significato e diventa comprensibile. Cronenberg, dando nuovamente corpo alle sue ossessioni fisiologiche – come quella per gli orifizi, le cicatrici, la pelle e la carne viva, le appendici semoventi, e via discorrendo – crea, racconta (e chissà, prevede) la società del futuro, in cui il mondo è sempre più sporco, triste e rovinato dalla presenza umana e la presenza umana è sempre più fioca e depersonalizzata perché la sua evoluzione sta virando verso la malattia, lo scarto, la materia inquinante – come se l’uomo finisse con il fagocitare sé stesso e i rifiuti che ha creato per anni avvelenando lo stesso ecosistema che gli permetteva di sopravvivere – l’anestetizzata sofferenza insita nella perdita della capacità di provare dolore e nella trasformazione sistemica del dolore in piacere.
Senza fare alcun mistero delle sue intenzioni, Cronenberg indulge nel body horror del quale convenzionalmente gli viene attribuita la paternità, soffermandosi sul già accennato connubio vincente tra dolore e piacere ma anche sull’importanza dell’arte concettuale e del bello. L’estetica di Crimes of the Future è spiazzante, perché estremizza e rende affascinanti quelle che vengono considerate brutture, difetti, deformità o modificazioni estreme ma che inconsciamente titillano una certa curiosità e un’attrazione in egual misura rispetto al disgusto che suscitano: provare per credere. L’aspetto pallido e cadaverico di Saul Tenser (un Viggo Mortensen terribilmente emaciato) non inficia minimamente l’irrefrenabile attrazione che le donne provano nei suoi confronti e la voglia di toccarne il corpo martorizzato dai segni delle operazioni – voglia che culmina da una parte nel cunnilingus di una ferita sul suo addome da parte di Precious (Léa Seydoux), la quale a sua volta decide di sottoporre il suo corpo immacolato a un intervento di modificazione corporea, dall’altra nel goffo tentativo di approccio fisico tradizionale da parte dell’impacciata burocrate governativa Timlin (Kristen Stewart), che dopo un bacio alla francese terribilmente demodé si vedrà respinta da un Saul che ammetterà di non essere affatto bravo con “il vecchio sesso”. Il senso di eccitazione e di attrazione fisica è tangibile, il brutto diventa bello, il vecchio viene scalzato dal nuovo, il deforme diventa oggetto di ammirazione, il taglio è penetrazione, la ferita è un’accogliente apertura, la cicatrice è un orgasmo indelebile.
Cosa aspettarsi dunque dall’ultimo lavoro di Cronenberg? Nulla di diverso rispetto a quanto Cronenberg ci abbia già abituati, perché Crimes of the Future è la conferma di una visione, non un’inversione di rotta. È un ritorno alla fantascienza mista al body horror di ExistenZ (per citare il più prossimo in ordine cronologico), un parziale noir dai lineamenti confusionari e un affascinante racconto del dolore collettivo di un’umanità agli sgoccioli del proprio arco evolutivo che si aggrappa con tutte le sue forze all’ultimo tremulo e umido lacerto del senso di appartenenza al genere umano che gli è rimasta, cioè il corpo con tutte le sue vulnerabilità. Una metafora acuminata e sottopelle di ciò che accade a ognuno di noi con l’inesorabile trascorrere del tempo, ma anche a ciò che sta accadendo alla Terra e alla società, sottoposte a brutali cambiamenti destinati a privarle della loro stessa natura, lasciando il posto a buchi, cicatrici, nuove malattie e perdita di sé con ricordi sempre più sbiaditi e fiochi balbettii inascoltati della coscienza.
Solo una cosa non mi é piaciuta troppo, il finale un po’ brusco, visto il piacere che mi ha dato guardare questo film per me poteva durare pure un’ora in piu e articolarne meglio l’epilogo. Spero in un director’s cut
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