Ovvero il compendio dell’orrore nell’anno dell’orrore, con i film indipendenti meno conosciuti, magari non ancora doppiati o distribuiti in Italia: come sempre, non è da intendersi al pari di una classifica o di un best of, quanto piuttosto come una lunga serie di spunti per scovare le tante pellicole horror del 2020 ingiustamente sfuggite ai radar. Proprio come già accaduto per i film horror del 2019 e per quelli del 2018 (e a ritroso fino al 2015), la selezione tenderà a ignorare sequel, prequel, remake e reboot tendendo a privilegiare le idee originali, né dedicherà ulteriore spazio ai film di maggiore successo come l’attesissimo The Lighthouse di Robert Eggers,sa l’ottimo rifacimento de L’uomo invisibile già recensito in occasione di una delle ultime uscite nelle sale cinematografiche, o l’altrettanto felice ritorno agli schermi di Severin Fiala e Veronika Franz (Goodnight Mommy) con il cupo The Lodge, o il sopravvalutato Gretel & Hansel di Oz Perkins o ancora Antebellum di G. Bush e C. Renz – che nonostante le apparenze non è davvero un horror, né tanto meno un bel film.
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Film horror del 2020
[RECENSIONE] POSSESSOR DI BRANDON CRONENBERG: DISTOPIE, FANTASCIENZA E HORROR DI GENERAZIONE IN (DE)GENERAZIONE
“E il verbo si fece carne, e nella carne venne inserito un impianto, ma qualcosa andò storto, e carne e impianto si fusero dando vita ad un’aberrazione fatta di tessuto cicatriziale e parti meccaniche, costretti a vagare all’interno di un piano della realtà soggetto a mutazioni di origine virale“.
Se la filmografia di David Cronenberg fosse un credo e avesse le sue scritture, un passo reciterebbe probabilmente così. Deliri mistici a parte, la filmografia di Cronenberg è davvero un punto di riferimento sacro per il cinema, anche per lo stesso figlio del cineasta canadese, Brandon Cronenberg (già autore del validissimo Antiviral), che ha deciso di ripercorrere le orme paterne divenendo a sua volta regista e dedicandosi ai medesimi temi già affrontati dal padre: il progresso come inganno, lo scompattamento dell’io, il body horror in tutte le sue declinazioni, l’imprevedibilità irrazionale degli eventi, l’ambiguità di fondo tra reale e immaginario, tra vissuto e virtualità, tra l’azione concreta e il piano del desiderio, l’affinità tra sessualità, malattia e morte, il gusto del deforme, l’asettica osservazione dell’anomalia biologica, l’epidermide come punto di accesso e mezzo di espressione del male, dell’orrore e del disgusto, eccetera.
[RECENSIONE] THE DARK AND THE WICKED di bryan bertino: IL VECCHIO E IL MALE
Un’ombra di morte e di Male, imperscrutabile eppure tangibile, cala su una sperduta fattoria texana e sulle vite dei suoi anziani tenutari. All’angoscia per l’approssimarsi sempre più evidente della fine si unisce la paura allo stato puro per il verificarsi di alcuni terrificanti – e inspiegabili, ça va sans dire – avvenimenti ai quali assisteranno i figli dei due contadini, giunti al capezzale del letto paterno per l’ultimo saluto.
Presentato alla 38esima edizione del Torino Film Festival, The Dark and the Wicked di Bryan Bertino è uno degli horror più cupi e spaventosi del 2020 nonché nuova stella di punta del cosiddetto “horror geriatrico”, che a dispetto del nome e dell’argomento trattato, sembra godere di ottima salute.
[SPECIALE TS+FF] RELIC, BENNY LOVES YOU, PENINSULA E TUTTI GLI HORROR DEL TRIESTE SCIENCE+FICTION FESTIVAL 2020
Si è appena conclusa una nuova, atipica e diversa edizione del Trieste Science + Fiction Festival, funestata dalla chiusura imposta dei cinema ma salvatasi grazie alla programmazione online, che ha consentito la proiezione di film, cortometraggi e incontri nelle sale virtuali di MyMovies. Tra i tanti titoli presentati, otto titoli horror, qui recensiti in ordine di gradimento:
Continua a leggere [SPECIALE TS+FF] RELIC, BENNY LOVES YOU, PENINSULA E TUTTI GLI HORROR DEL TRIESTE SCIENCE+FICTION FESTIVAL 2020[SPECIALE FEFF 2020] IMPETIGORE, SOUL, DETENTION: GLI HORROR DEL FAR EAST FILM FESTIVAL
Quest’anno il Far East Film Festival – il festival del cinema asiatico che dal 1999 porta a Udine una vasta selezione di lungometraggi da paesi come Giappone, Corea, Cina, Thailandia – si è tenuto in rete, dal 26 giugno al 4 luglio, offrendo la possibilità di acquistare un pass virtuale e accedere alle pellicole in streaming, attraverso la piattaforma di MyMovies. Tra i titoli in concorso, cinque gli horror proiettati, nessuno dei quali ha dimostrato un potenziale d’impatto tale da tenere incollati allo schermo (del pc). Quella che segue è una recensione di tre dei cinque titoli in catalogo.
IMPETIGORE (Perempuan Tanah Jahanam)
di Joko Anwar
Una giovane donna, allertata dal terrificante incontro con un aggressore misterioso, fa ritorno nel remoto villaggio nel quale è nata, alla ricerca di un passato del quale non ha alcuna memoria, mentre tra inquietanti apparizioni in una villa abbandonata e ambigui scambi con gli abitanti del luogo si dipana una progressiva indagine sul passato di quel luogo e della sua famiglia. Il regista indonesiano, autore dell’ottimo remake Satan’s Slaves, gira una pellicola più semplice ed essenziale, nel solco dell’horror folk ma sempre incentrata sul tema della maledizione familiare.
Impetigore regala una più che soddisfacente esecuzione tecnica, una fotografia calda e priva di sbavature, una buona percentuale di sangue e violenza e con la valorizzazione scenica di elementi fortemente caratteristici, come la foresta indonesiana o come le marionette del Wayang Kulit, il teatro delle ombre giavanese. Quel che il film non regala, invece, è una narrazione avvincente, oscillando in maniera brutale tra momenti di stasi pressoché totale e altri di eccessivo clamore, a scapito dell’armonia compositiva generale. Tra un tentativo di jumpscare e l’altro, l’atmosfera va diradandosi fino a sparire quasi del tutto, paradossalmente, nel grandioso finale a sorpresa.
SOUL (Roh)
di Emir Ezwan
Una donna e i suoi due figli trascorrono le loro semplici esistenze in una palafitta nascosta tra la fitta vegetazione, occupandosi della sussistenza quotidiana, le cui attività principali spaziano dal procacciarsi il cibo al raccogliere il carbone da rivendere nel villaggio più vicino. A sconvolgere le loro vite sarà l’incontro con una misteriosa bambina apparsa dal nulla, chiusa in un inquietante mutismo e foriera di un funesto quanto incomprensibile presagio. Ai tre non resterà altro che tentare di comprendere, prima che sia troppo tardi. Soul è un film i cui pregi e le intuizioni azzeccate si rivelano allo stesso tempo dei limiti: se a un budget evidentemente limitato corrisponde la sacrosanta idea di sfruttarlo nel modo più intelligente, dando un’impostazione minimale al film con una location – la meravigliosa foresta pluviale malese – ridotta all’osso e con un cast limitato a cinque/sei attori, delude la mancata valorizzazione di quei luoghi già dotati di un notevole potenziale ammaliante e degli attori, le cui interpretazioni creano vuoti anziché riempirli. Il risultato è un film più che lento: inamovibile.
DETENTION (Fanxiao)
di John Hsu
Quando negli anni Quaranta dello scorso secolo gli abitanti di Taiwan insorsero con proteste e manifestazioni anti-governative contro il Kuomintang (il partito nazionalista cinese, ma di stanza a Taiwan: è una storia complessa), ebbe inizio un lunghissimo periodo di repressioni sanguinarie, di applicazione della legge marziale, di soppressione della libertà di pensiero, destinato protrarsi fino al 1987, il cosiddetto Terrore Bianco. E proprio in questo contesto storico è ambientato Detention, un horror politico in piena regola, che arriva anche in un momento significativo, a più di un anno dalla ripresa delle proteste di Hong Kong.
Protagonisti della vicenda sono un gruppo di liceali e i loro insegnanti, sospettati di condurre attività eversive e quindi perseguitati, torturati e uccisi in quello che sembra un incubo stratificato su più livelli, all’interno del quale è facile perdersi e quasi impossibile svegliarsi. Ricorda molto Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro, questo Detention, sia per l’impronta fiabesca, sia per la struttura narrativa adottata. E nonostante l’importanza del messaggio veicolato e l’importanza di valorizzare un tipo di horror che si dimostra critico e immerso nel contesto politico-sociale in maniera più concreta e manifesta di quanto non facciano già metaforicamente – in maniera meno palese, dunque – tanti altri horror, l’impressione è quella di stare guardando un film per bambini, e nemmeno dei migliori.
[ANTEPRIMA] THE INVISIBLE MAN: IL GASLIGHTING C’È, MA NON SI VEDE
Una metafora per nulla sottile ma necessaria e urlata per raccontare gli orrori del gaslighting e dell’abuso psicologico in un rapporto di coppia: una storia che si ripete in continuazione, una denuncia di odiose e insopportabili pratiche di prevaricazione e coercizione. The Invisible Man di Leigh Whannell scavalca i suoi illustri predecessori e con uno scarto di qualità non indifferente pone la narrazione su un piano completamente diverso.
[Disclaimer: sono presenti spoiler]
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BLISS e VFW: BAGNI DI SANGUE AL NEON SOTTO IL SEGNO DEL PUNK HORROR
Joe Begos, regista statunitense classe 1987, dopo un interessante esordio nel 2013 con “Almost human”, ritorna con VFW e Bliss, due film appartenenti al filone del genere punk horror sorprendentemente validi, accomunati dall’affanno per una ricerca estetica votata alla violenza lisergica, dalle droghe come motore immobile dell’azione e dall’ambientazione urbana caratterizzata da un certo livello di degrado.
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[RECENSIONE] COLOR OUT OF SPACE DI RICHARD STANLEY
Se tre è il numero perfetto, Color Out of Space è un film triplicemente fortunato: terzo riadattamento cinematografico statunitense del racconto di H.P. Lovecraft “Il colore dallo spazio“, terzo lungometraggio di Richard Stanley – regista sudafricano autore negli anni Novanta di due piccoli cult atipici a cavallo tra horror e cyberpunk postapocalittico, “Hardware Metallo letale” e “Demoniaca“, riapparso improvvisamente dalle sabbie dell’oblio – e terzo horror di successo interpretato da Nicolas Cage negli ultimi tre anni dopo “Mom and Dad” e “Mandy“.
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[RECENSIONE] THE LIGHTHOUSE DI ROBERT EGGERS
Il faro di un’isola sperduta, gli scalcagnati deliri di due marinai ubriachi, la loro allucinata discesa verso la follia, e a fare da sfondo il mare, perturbante ancestrale in cui si perdono il senso del tempo, dell’identità e della realtà: The Lighthouse, l’ultima fatica di Robert Eggers – già autore di quella piccola gemma folk horror del cinema indipendente che è The VVitch – unisce elementi visivi e concettuali parecchio eterogenei, dando vita a un prodotto atipico e affascinante.
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[RECENSIONE IN ANTEPRIMA] THE LODGE DI SEVERIN FIALA E VERONIKA FRANZ
Dopo aver stupito e centrato nel segno con il bellissimo “Goodnight Mommy” (Ich seh, Ich seh), i registi austriaci Severin Fiala e Veronika Franz ci provano ancora con “The Lodge“, un horror psicologico nuovamente a base di ragazzini problematici, nuovamente ambientato all’interno di una casa glacialmente austera, nuovamente basato sull’effetto sorpresa e quindi terribilmente prevedibile.
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