Se gli animali avessero i pollici opponibili, probabilmente ci ucciderebbero tutti senza esitazioni né riserve: ma esiste una nutrita filmografia horror a tema animali assassini. I quali, senza ausili evolutivi di sorta, tentano di sterminare qualsiasi rappresentante dell’homo sapiens, spesso in virtù di una sacrosanta rivalsa dopo anni di maltrattamenti, soprusi, esperimenti e torture. Altrettanto spesso, senza una ragione plausibile.
Ecco di seguito una selezione dei film horror più interessanti e meno conosciuti (non necessariamente i “migliori”, anzi, nella maggior parte dei casi si tratta di B-movie, a voler essere generosi) che hanno per protagonisti gli animali. Questa selezione non comprende pertanto le pellicole più celebri a tema, come Gli Uccelli di Hitchcock o Pet Sematary.
Né sfidare le leggi della natura in nome del profitto, perché le conseguenze potrebbero essere terribili.Non si deve profanare il sonno dei mortidi Jorge Grau è un film pieno di divieti e impedimenti, già a partire dai dialoghi e dalla sceneggiatura. Le sole cose che gli vengono concesse sono l’accesso per direttissima nella hall of fame dei film culto per gli appassionati del genere e una lunga serie di titoli alternativi per le varie riedizioni nazionali: Let sleeping corpses lie, The living dead at the Manchester morgue,Don’t open the window, Le Massacre des morts-vivants, Da dove vieni e Zombi 3, con l’evidente obiettivo di confondere il più possibile le idee allo spettatore.
Cosa succede se un gruppo di teenager viene mandato in un’ex colonia nudista invasa da zombi, per un campeggio cristiano all’insegna della preghiera e della morigeratezza?
Essi canteranno e balleranno tutti insieme dei motivetti terribilmente accattivanti, regalando il migliore spettacolo che ci si possa aspettare da una commedia- musical horror realizzata con un budget di circa 2,500 dollari: Nudist Colony of the Dead, diretta da Mark Pirro, noto ai più – cioè ai meno – per aver coraggiosamente diretto una discreta quantità di B-movie horror demenziali quali “Curse of the Queerwolf“, “A Polish vampire in Burbank” e “Rectuma“.
Se c’è una lezione che s’impara pensando allo strano caso di The Hypnotic Eye, poco nota pellicola del 1960 diretta da George Blair, pubblicizzata in maniera massiccia per poi essere quasi dimenticata negli anni a venire, è che a volte il marketing non paga.
Era l’epoca della pubblicità aggressiva, delle grandi occasioni, della spensieratezza economica e il cinema, preso anch’esso da questa frenesia, ingurgitava frotte di spettatori attratti dalla voglia di novità, di tecniche di ripresa avveniristiche e di visioni coinvolgenti. Seguendo l’esempio di William Castle, prolifico regista di B-movie e produttore di Rosemary’s Baby, incoronato re dei “gimmick” (ovvero delle trovate pubblicitarie sensazionalistiche e fantasiose), la casa produttrice di The Hypnotic Eye prometteva infatti alla sua audience un’esperienza elettrizzante grazie allo spettacolo di Ipnomagia, una fregnaccia inventata su due piedi dai pubblicitari per far credere che gli spettatori sarebbero caduti realmente in stato di trance durante la visione del film, con tanto di dimostrazioni promozionali dal vivo per generare quello che oggi chiamiamo hype.
Prendi un collegio abitato da suore, aggiungi un lesbo-patto con il Diavolo, amalgama con tantissime urla da soap opera latinoamericana e ottieni Alucarda di Juan López Moctezuma. La ricetta base di questo film messicano sembra facile, ma il condimento è molto più ricco di quanto non possa sembrare a un primo assaggio.
Intanto c’è il regista, Moctezuma, che è anche un collaboratore di Jodorowskj e che per questo non potrà fare a meno di insaporire la sua pellicola con un velato misticismo fiabesco, che anni dopo Guillermo Del Toro (tra registi “horror” MENO amati da chi scrive, NdA) non potrà fare a meno di apprezzare e omaggiare.
Poi c’è l’inevitabile accostamento a due film ben più famosi e pregiati: I Diavoli di Ken Russel, seppur con tutte le differenze del caso, per l’affinità tra le scene di isteria collettiva e invasamento di attraenti suorine, sul ciglio della nunxploitation e Carrie di Brian De Palma per alcune palesi analogie visive nel finale. E in un circolo vizioso che va per aspera ad astra – più aspera che astra, a dirla tutta – si passa dall’omaggio alla letteratura del Marchese de Sade a una recitazione da telenovelas con tanto di urla finte riproposte con cadenza regolare di una ogni trenta secondi.
Alucarda è un’adolescente inquieta e dagli scarsi freni inibitori, con un aspetto piuttosto dark, lunghi capelli scuri a incorniciare lo sguardo e vestito nero goticheggiante a disegnarne la sagoma. Essa vive in un orfanotrofio simile a una casa rupestre gestito da suore che indossano strani e palesemente scomodi vestiti color cipria che sembrano creazioni di Gucci sotto mescalina:
Nata sotto una cattiva stella e genuinamente votata al male, Alucarda seduce la sua compagna di stanza Justine, coinvolgendola in una serie rocambolesca di vicissitudini che comprendono un patto col demonio in salsa lesbo, un soffocante rapporto d’amore, la possessione demoniaca, un esorcismo in chiave bdsm con tanto di crocifissione da nuda e torture, la morte di Justine, una breve resurrezione della stessa sotto forma di demone grondante sangue, l’eliminazione definitiva a suon di acido muriatico e un paio di denunce per disturbo della quiete pubblica.
Quello di Moctezuma è un film visionario e quasi ingenuo, dalla realizzazione imperfetta che ne mina la credibilità ma che gli assicura un posto tra i film di culto che raccontano un’epoca, gli anni Settanta, lasciando intravedere in filigrana gli argomenti caldi di un decennio allucinato: la ribellione sessuale, un ritorno alla natura e alla nudità, l’esoterismo, la ricerca di culti alternativi a quello cattolico e cristiano. Impossibile prenderlo sul serio ma difficile non apprezzarlo e rimanere sorpresi dal paradossale iato filmico tra buone e cattive idee, genuinità e povertà della sceneggiatura, carisma dei personaggi e scarsa capacità recitativa del cast.
Chi la fa l’aspetti e soprattutto non si deve profanare il sonno dei morti, altrimenti succedono cose poco piacevoli. Queste le premesse di Notte Nuda, il nuovo film di Lorenzo Lepori presentato in anteprima e in versione “raw” la scorsa settimana al Fermo Immagine – Museo del Manifesto Cinematografico di Milano.
Ambientazione silvestre colma di mistero e atmosfera plumbea decisamente più greve rispetto alla placida semplicità delle stradine di Casalpusterlengo in cui era ambientato il precedente Catacomba, Notte Nuda è un susseguirsi di presagi funesti, resurrezioni empie e disgrazie di varia entità.
Protagonisti delle vicende sono i due amici di vecchia data Paolo e Andrea – quest’ultimo interpretato da Pascal Persiano, plasmato da esperienze recitative fondamentali e totalizzanti nel mondo del terrore italico come Paganini Horror, Dèmoni 2, CentoVetrine – e Milena, una bellissima ragazza dal fare disinibito. Senza perdere tempo con i convenevoli, i tre si lasciano andare a una notte di bagordi, sesso e droga che finisce ovviamente in tragedia, con la morte più o meno accidentale della ragazza. Ma come recita un antico adagio, “la bamba porta consiglio”: i nostri decidono saggiamente di occultare il cadavere della donna, opportunamente sezionato e riposto in valigia, seppellendolo nel bosco con la pendenza più ripida di tutto il territorio toscano. Il coefficiente di difficoltà aumenta con l’apparizione di alcune presenze decisamente ostili nascoste tra gli alberi.
Notte Nuda è un trionfo del prostetico, quello fatto bene, d’ispirazione vintage ma dalla realizzazione sorprendentemente curata. Lo stesso principio si applica alla sceneggiatura che ricalca certi fumetti licenziosi degli anni Settanta e Ottanta e alla regia attenta ai dettagli, sempre nel solco del B-movie, del cinema di genere e delle produzioni indipendenti low budget: pare insomma che l’horror italico sia ancora vivo e lotti insieme a noi.
I cadaveri di due sposi rinvenuti sulla riva di un canale della Giudecca, una grossa introvabile forbice come arma del delitto, un numero imprecisato di piste – da quelle che si sniffano a quelle da seguire per le indagini – ed è subito giallo. All’italiana, s’intende.
Giallo a Venezia è un film del 1979 dall’ambientazione molto lagunare diretto dal prolifico Mario Landi, passato con disinvoltura dagli sceneggiati televisivi a una produzione che, se esistesse il termine erosslasher, chiamerei esattamente così.
Uno dei primi commenti nei quali ci si imbatte su Rotten Tomatoes cercando informazioni su Bloodsucking Freaks di Joel M. Reed (e che mi ha spinta a vederlo di corsa) è: “Se ti è piaciuto guardare questo film, onestamente non voglio conoscerti“.
Un film di brutte persone per brutte persone, questo, dal titolo fuorviante e dalla storia scalcinata: inizialmente titolato “The Incredible Torture Show“, T.i.t.s. per gli amici, sfuggito in maniera rocambolesca alla censura e gloriosamente distribuito dalla Troma, Bloodsucking Freaks è un tripudio di cattivo gusto, exploitation grossolana, torture di vario genere e scene di comicità più o meno involontaria. Continua a leggere Bloodsucking Freaks, the Torture Horror Porno Show→
Su internet esiste una sorta di legge, simile a quella di Murphy o al principio di Peter, la rule 34, che recita pressappoco così: “esiste la versione porno di qualsiasi cosa. Senza eccezioni”. Di seguito alcuni esempi calzanti:
Il sonno della ragione genera mostri, ma nemmeno la televisione scherza. Nel caso di Video Dead, gloriosa pellicola del 1987 diretta da Robert Scott, si tratta di mostri in carne decomposta e ossa, trasmessi in diretta 24/7 da un vecchio televisore e catapultati nella nostra dimensione attraverso il tubo catodico, con tanto di uscita dallo schermo alla The Ring, solo con qualche effetto speciale in meno.