Archivi tag: 2018

[Anteprima] Halloween è morto, lunga vita ad Halloween (ma anche no)

Come i lettori più affezionati sapranno, questo blog si occupa raramente di horror del circuito mainstream, di film della grande e ricca distribuzione, di remake, sequel, prequel e di altre creature filmiche di natura derivativa. Per tante e valide ragioni, prima tra cui dare spazio alle alle idee originali e alle pellicole indipendenti. Eppure quella del tributo ai successi del passato è una delle grandi ossessioni dell’horror contemporaneo nonché uno dei leitmotiv cinematografici di un 2018 segnato, folgorato e trafitto da un gran numero di rifacimenti, seguiti, nuovi capitoli. E se l’horror in questione è Halloween, annunciato in maniera roboante e seguito da un’esplosione contagiosa irrefrenabile di puro hype, diretto da David Gordon Green, prodotto dalla Blumhouse, interpretato da Jamie Lee Curtis e approvato dal maestro Carpenter in persona, e se si tratta di un Halloween che ignora tutta la progenie successiva al capolavoro originario del 1978, di un titolo senza numeri né sottotitoli, senza vendette né prologhi, e se si ha l’occasione di vederlo in anteprima, perché mai rinunciare?

Continua a leggere [Anteprima] Halloween è morto, lunga vita ad Halloween (ma anche no)

[Recensione] Climax: la paura vien danzando

Si possono dire tante cose di Gaspar Noé, tranne che non sia un tipo determinato e di parola: ciascun titolo dei film del regista argentino contiene una promessa o un’anticipazione su quel che accadrà all’interno della pellicola e il suo ultimo Climax – proiettato in anteprima al Milano Film Festival 2018 – non è da meno. Già a partire dal titolo, che riconduce all’idea di aumento progressivo inesorabile, e già a partire dai primi minuti, subito dopo un autoreferenziale salto di montaggio con mostra della scena finale seguita dai titoli di coda e ritorno al principio del film, un po’ a la Irréversible, per intenderci. Siamo al cospetto di un horror in cui accadranno fatti terribili e questo, Noé, vuole che sia ben chiaro sin dal principio.
La sinossi di Climax è piuttosto semplice: un gruppo di ballerini, appena selezionati a un casting, festeggiano insieme l’inizio di un nuovo grandioso progetto (del quale non sapremo né vedremo praticamente nulla) bevendo sangria e ballando in free style, finché non si accorgono di aver assunto una grossa quantità di droga, occultata nel vino. Gli effetti inaspettati della sostanza sconvolgono il gruppo, che cede alla paranoia e agli istinti più bassi in un crescendo di terrore e violenza. Molta violenza. Dal pestaggio collettivo al suicidio, dall’aborto a suon di calci alla morte per fulminazione, dallo stupro all’incesto, dalla combustione all’assideramento: quello di Climax sembra un budello infernale in cui ognuno va incontro a un terribile destino, senza sapere perché, a passo di danza, in un non-luogo in cui i corridoi conducono al terrore e gli atti estremi hanno come sottofondo un’ottima colonna sonora.

Proprio durante le scene iniziali, Noé fornisce indizi ben precisi allo spettatore su ciò che accadrà a breve e sul tipo di film al quale sta per assistere: persino – ma è un dettaglio che si può intuire più facilmente a posteriori e che, secondo il regista, strizzerebbe l’occhio alla tradizione del giallo all’italiana – chi sia l’effettivo colpevole della somministrazione occulta di sostanze stupefacenti nella sangria incriminata. Ma sono i tanti titoli di film, disposti in maniera assolutamente non casuale a fianco di un vecchio televisore che trasmette le registrazioni dei provini, a rivelare che Climax sarà, innanzitutto, un film horror.

Climax di Gaspar Noe

A far bella mostra di sé, Suspiria di Dario Argento nel suo annus mirabilis: un collegamento ideale quasi obbligatorio, almeno per l’ambientazione, per la presenza di danzatori in una scuola, di nottate infernali e di colori intensi e vibranti. Poi c’è Possession di Zulawski, esplicitamente citato nella famosa scena di invasamento che viene riproposta in maniera piuttosto fedele nei movimenti convulsi e nelle urla dissociate di una ballerina in preda al delirio lisergico. E poi ancora c’è Dawn of the Dead di Romero, perché i protagonisti sotto effetto della droga diverranno piano piano simili a zombi privi di coscienza, dai movimenti automatizzati. E come non menzionare Angst di Gerald Kargl e Salò di Pasolini per l’escalation di violenza, bestialità e sadismo che ritroviamo (privi però di qualsiasi sottotesto socio-politico) anche in Climax?

Citazionismo a parte, Noe ci regala un’ora e trentacinque minuti di intenso e ammaliante spettacolo visuale, a partire dalla lunga e sensualissima scena del ballo sulle note di “Supernature” di Cerrone (prego), un’orgia danzante dal retrogusto pornografico perfettamente studiata e coreografata, le cui mosse vengono poi però ripetute in maniera sempre più parossistica, incontrollata e deforme con l’aumentare della paranoia e del degenero. La regia è solida e sicura di sé e il controllo dei movimenti della macchina da presa, delle luci e dei colori, praticamente un marchio di fabbrica di Noé, fanno da contrappunto a una recitazione volutamente minimale, basata sull’improvvisazione e su una sceneggiatura ridotta all’osso, come a voler dire che l’energia sprigionata dal dolore, dalla rabbia e dalla paura quando si perde il controllo è incontenibile, proprio come i movimenti di chi ne è attraversato. Sfidando sé stesso nel realizzare un film in pochi mesi che fosse al contempo un horror con velleità artistiche, una provocazione, una buona pellicola e un prodotto adatto a Cannes, Gaspar Noé con Climax ha mantenuto la promessa su tutta la linea, senza deludere (quasi) nessuno. Chapeau.

 

[Recensione] Incident in a Ghostland: fenomenologia del plot twist laugeriano

In principio era Martyrs, anzi no: quando il registra francese Pascal Laugier regalò al cinema horror la sua pellicola più famosa e controversa non era certo al suo esordio, né quella poteva fregiarsi del titolo di prima opera legata alla corrente del nuovo estremismo francese. Martyrs è stato però il suo film più famoso e memorabile, asceso per direttissima all’Olimpo dei film-che-forse-non-avete-ancora-visto-ma-che-dovreste-assolutamente-recuperare grazie a quel delicato insieme di dolore e paura attraversato da lontani echi di torture porn ed exploitation ammantati da un’aura metafisica.
Ma il punto di partenza per parlare di Laugier e del suo ultimo film, Incident in a Ghostland non dev’essere l’impossibile confronto con Martyrs o la conta delle differenze tra pellicole, quanto l’individuazione dei denominatori comuni di ogni suo lavoro: la sofferenza umana declinata con pazienza e dedizione in tutti i modi possibili e l’irresistibile richiamo del plot twist.

Continua a leggere [Recensione] Incident in a Ghostland: fenomenologia del plot twist laugeriano

[Recensione] Hereditary: i panni sporchi si evocano in famiglia

Esistono due modi per approcciarsi alla visone di Hereditary, il lungometraggio d’esordio dell’americano Ari Aster che ha lasciato soddisfatti molti, perplessi altri e con la costante sensazione di essersi persi qualcosa di fondamentale ai fini della comprensione del film  un po’ tutti: guardarlo una prima volta, leggere subito dopo qualche articolo-spiegone (come ad esempio questa umile guida ai dettagli, simboli e segnali all’interno del film che forse vi erano sfuggiti) e magari guardarlo una seconda volta, alla luce della nuova consapevolezza acquisita. Oppure leggere in maniera preliminare qualche articolo-spiegone (come ad esempio questa umile guida ai dettagli del film che forse vi sareste persi con l’inevitabile presenza di spoiler parecchio rilevanti sulla trama e annientamento di qualsiasi effetto sorpresa), guardarlo un’unica volta, saperla lunga, fare bella figura con gli altri spettatori e mostrare una consapevolezza quasi sospetta su dettagli, simboli e segnali sparsi qua e là lungo la pellicola. Quale che sia la scelta, da qui in avanti appariranno  suddetti spoiler parecchio rilevanti.

Continua a leggere [Recensione] Hereditary: i panni sporchi si evocano in famiglia

[Recensione] Unsane: io sto bene, io sto male

Non sarà certo il primo né tanto meno l’ultimo, ma Steven Soderbergh con il suo nuovo film Unsane, girato interamente con un iPhone, dimostra ancora una volta che le dimensioni  (della videocamera) non contano, è importante come la si usa. E ancora di più contano le idee, soprattutto se si realizza un horror psicologico dall’ambientazione scarna, tutto occhi sgranati e straniamento.

[Attenzione: di seguito, spoiler rilevanti sulla trama]

Continua a leggere [Recensione] Unsane: io sto bene, io sto male

[Recensione] The Endless: verso l’infinito e horror

Era il lontano 2012 e due giovani registi-scenografi-produttori rispondenti ai nomi di Justin Benson e Aaron Moorhead confezionavano “Resolution“, un piccolo gioiellino horror indipendente sconosciuto ai più. Quel film è il punto di partenza e di ritorno essenziale nel quale emerge già la cifra stilistica del duo, destinato a rimanere unito nelle seguenti produzioni (Spring e VHS / Viral, fyi): basso budget e buone idee, paradossi spazio-temporali e atmosfere lovecraftiane, approccio personale e disinvolto alla macchina da presa.

[Attenzione: da qui in avanti troverete spoiler rilevanti sulla trama]

Continua a leggere [Recensione] The Endless: verso l’infinito e horror

[Recensione] Pyewacket, non disturbare il famiglio che dorme

Come risolvere una crisi familiare provocata da una morte improvvisa, esacerbata da un lutto mai elaborato e scandita dagli squilibri di una madre alcolizzata e dai disagi adolescenziali di una figlia col pallino dell’occulto? Evocando un demone, è chiaro.

Continua a leggere [Recensione] Pyewacket, non disturbare il famiglio che dorme

[Recensione] The Ritual: la crisi di mezz’età è una cosa mostruosa

Non dev’essere facile per un uomo superare lo scoglio psicologico dei quarant’anni, se si scarta l’idea dell’acquisto di un macchinone costoso, o di un viaggio all’insegna della perdizione in un’isola frequentata da ventenni alcolizzati, optando magari per un impegnativo trekking nel più oscuro e profondo anfratto della foresta svedese. Soprattutto quando a complicare le cose intervengono una deviazione di percorso imprevista, gli screzi con i compagni di avventura, il ritrovamento di animali sbudellati, i segni inequivocabili di un rituale in corso incisi sugli alberi, numerose allucinazioni e una carrellata di disgrazie in rapida successione.

The-Ritual-

The Ritual di David Bruckner è innanzitutto questo: il racconto di un viaggio e di un percorso interiore dall’ambientazione boschiva. La vicenda gira attorno alle disavventure di quattro amici, decisi a ritirarsi temporaneamente nella natura selvaggia. L’idea è di onorare il ricordo di un quinto compagno, ucciso tempo addietro durante una rapina, con la codarda complicità di uno di loro, Luke: rimasto in disparte a osservare l’omicidio, egli assiste a una scena che gli si riproporrà in più occasioni sotto forma di allucinato senso di colpa.

the ritual

Ma non è soltanto il rimorso a preoccupare il gruppo di esploratori: è la sensazione di non essere soli in mezzo a quei tronchi dalle crepature ostili. Sono le allucinazioni e gli inquietanti ritrovamenti di carcasse incastrate tra i rami. Sono degli strani simboli incisi sugli alberi. Costretti per l’infortunio di uno di loro a deviare dal sentiero alla ricerca della strada più breve, i quattro si troveranno intrappolati in una sorta di labirinto esoterico e onirico dal quale si esce radicalmente trasformati: da esseri umani a vittime sacrificali di una mostruosa creatura la cui progressiva rivelazione costituisce uno dei meccanismi portanti del film. Che riesce a portarsi avanti in maniera lineare pur proponendo una notevole quantità di elementi e topos, dalla lotta dell’uomo contro la natura e contro sé stesso ai richiami alla mitologia norrena, dal tema della trasformazione interiore e fisica a quello del’immolazione rituale.

the_ritual2

A metà strada tra survival slasher in chiave mistica e horror folk sui generis che ricorda un po’ The Blair witch project – graziosamente epurato dalla tecnica del found footage e da macroscopiche limitazioni di budget – The Ritual è un ottimo lavoro di regia per David Bruckener, che si era già fatto apprezzare in V/H/S e Southbound e che realizza un film visivamente ineccepibile all’insegna del perfezionismo, una pellicola dalla fotografia elegante e algida che si fa perdonare un finale decisamente sottotono.

[Recensione] Les Affamés: il Quebec dei morti viventi

Per chiunque si sia mai chiesto come possa funzionare un’epidemia zombi nelle zone rurali più isolate del Quebec, arriva a gamba tesa una produzione Netflix che, tra cliché e stilemi del genere fedelmente riproposti e interessanti incursioni surrealiste, racconta la fine del mondo attraverso le peripezie campagnole di alcuni sopravvissuti in lotta per la vita: Les Affamés di Robin Aubert.

Continua a leggere [Recensione] Les Affamés: il Quebec dei morti viventi

[Recensione] Slumber: demoni del sonno e incubi soporiferi

Esiste qualcosa di più inquietante dei disturbi del sonno? Di vedere qualcuno aggirarsi per casa, occhi spiritati e privo di coscienza, compiere azioni apparentemente senza senso? Di avvertire una presenza o essere gli unici a vedere ombre e arabeschi di materia oscura aggirarsi minacciosi nella stanza da letto? Di aprire gli occhi nel cuore della notte e non riuscire a muoversi né gridare? Sonnambulismo, allucinazioni ipnagogiche e paralisi del sonno sono fenomeni reali e per questo più terrificanti di qualsiasi entità paranormale. Basterebbe tenere in mente questo dettaglio – di come la realtà, con le sue sfaccettature reali e spigolose, possa spaventare più di qualsiasi mostro o apparizione – per creare un horror credibile ed efficace. Ma Slumber di Jonathan Hopkins intraprende un sentiero diverso, indugiando su jumpscare, demoni e ricostruzioni scientificamente poco accurate di fenomeni ampiamente diffusi e tipici come la deambulazione notturna, gli stati allucinatori durante la transizione sonno-veglia o le paralisi.

Continua a leggere [Recensione] Slumber: demoni del sonno e incubi soporiferi