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CINE UNDERGROUND 2022: IL FASCINO INDISCRETO DEI B-MOVIE IN COMPAGNIA

La quarta edizione del Cine Underground Film festival, dedicata al cinema horror, sci-fi, trash, action e tenutasi dal 2 al 9 ottobre al Circolo Gagarin di Busto Arsizio, ha regalato una lunga serie di perle indimenticabili – tra lungometraggi, cortometraggi e incontri a base di lacrime e sangue, sperma e lubrificanti, alieni e creature, fantasmi e mostriciattoli. I vincitori delle varie categorie li trovate qui, mentre questi di seguito sono alcuni dei titoli visti nel corso dei tre giorni di proiezioni:

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Bloodsucking Freaks, the Torture Horror Porno Show

Uno dei primi commenti nei quali ci si imbatte su Rotten Tomatoes cercando informazioni su Bloodsucking Freaks di Joel M. Reed (e che mi ha spinta a vederlo di corsa) è: “Se ti è piaciuto guardare questo film, onestamente non voglio conoscerti“.
Un film di brutte persone per brutte persone, questo, dal titolo fuorviante e dalla storia scalcinata: inizialmente titolato “The Incredible Torture Show“, T.i.t.s. per gli amici, sfuggito in maniera rocambolesca alla censura e gloriosamente distribuito dalla Troma, Bloodsucking Freaks è un tripudio di cattivo gusto, exploitation grossolana, torture di vario genere e scene di comicità più o meno involontaria.
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Killer Klowns from Outer Space: i pagliacci non sono persone orribili

Sono alieni. Alieni orribili.
Prima di IT, sia il vecchio che il remake, prima di Amusement e di Strange Circus c’erano loro, i pagliacci assassini dallo spazio profondo, protagonisti della pellicola culto scritta, prodotta e diretta dai fratelli Chiodo: Killer Klowns from Outer Space (1988) ovvero una delle trashate più creative dello scorso millennio.

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[Recensione] Cut Shoot Kill: apri tutto, smarmella, DAI!

Uno slasher con protagonista una troupe cinematografica che gira uno slasher in cui gli attori sono personaggi e i personaggi sono attori e anche gli addetti ai lavori sono un po’ attori e un po’ personaggi – in un tripudio di metacinema che fa pensare alla versione horror di Boris, la gloriosa serie italiana che mostra con surreale onestà il mondo sommerso del “dietro del quinte” televisivo, del lavoro sporco di chi non appare sullo schermo. In estrema sintesi è quel che propone Cut Shoot Kill di Michael Walker, solo con una gran quantità di sangue in più.

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Creep 2, le burle di un incorreggibile psicopatico

* Attenzione: potrebbero esserci spoiler rilevanti sulla trama*

Qualche giorno fa parlavo di Troll 2 con un’amica e, mentre cercavo inutilmente di spiegarle perché fosse importante guardarlo almeno una volta nella vita, lei m’ha chiesto: “Non dovremmo guardare il primo Troll e poi il secondo?”. Ovviamente no, nel caso della pellicola di Fragasso non serve. Ma nel caso di Creep 2 sì, quindi è necessario fare un piccolo passo indietro.

Creep è un horror found footage del 2014, diretto da Patrick Brice e interpretato dallo stesso regista nel ruolo di Aaron, un ingenuo videomaker, e da quel mattacchione di Mark Duplass nel ruolo di Josef, un eccentrico individuo dai comportamenti gioviali ma poco rassicuranti. L’occhio della videocamera è quello di Aaron, assoldato da Josef tramite un annuncio su Craigslist per girare quello che ritiene essere un normalissimo video destinato a un figlio non ancora nato. Attraverso le riprese, lo spettatore capisce fin da subito che c’è qualcosa che non va e all’inquietudine di sapere che la vittima è in trappola si aggiunge lo straniamento nel non vederla fuggire a gambe levate alla prima occasione e il disagio di assistere agli scherzi inquietanti e ai deliri esibizionistici di Josef. Come prevedibile, le cose per Aaron non si mettono bene.

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The Alchemist Cookbook: la strada per l’inferno è lastricata d’oro

Secoli e secoli di letteratura, testimonianze e racconti a dirci che invocare demoni per ottenere qualsivoglia vantaggio non è affatto una buona idea, e ancora non abbiamo imparato la lezione. Perché il prezzo da pagare è alto e i doni dal sottosuolo celano sempre un inganno.

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[Recensione] The Void, ecco come ti omaggio Carpenter

Al pronto soccorso, si sa, accadono le cose più strane. La sala d’attesa diventa spesso luogo di ritrovo delle anime in pena, dei matti, dei malati veri e di quelli immaginari. Diciamolo: nei triage tira una brutta aria e basta poco per aumentare il disagio di tutti.

Immaginate quanto possa essere spiacevole quindi trovarsi in un vecchio ospedale semideserto in procinto di essere dismesso, con il personale ridotto all’osso, un misterioso gruppo di individui in tunica minacciosamente appostati fuori a impedirvi di uscire e alcuni mostruosi conglomerati semoventi di carne che fanno capolino dalle stanze e dai corridoi a impedirvi di restare.

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The Belko Experiment, tagli molto severi al personale

Quando alcuni giorni fa ho visto l’ormai celeberrimo infame video che immortala gli impiegati di una banca cantare una canzoncina in preda al disagio più totale (video che dopo il suo glorioso ingresso per direttissima nella hall of fame dell’internet è già pronto per sparire dalle bacheche dei social ma non dalla memoria collettiva), ancora prima di farmi una sonora risata, ho riflettuto sul meraviglioso mondo del team building aziendale e su tutte quelle altre cose nominabili solo in lingua inglese che nonostante le migliori intenzioni tendono a trasformarsi in crudeli teatrini del grottesco, rendendo inconsapevolmente omaggio all’universo fantozziano.

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Be my cat, un ottimo horror per Anne Hathaway (in cui per fortuna non compare mai)

Non è facile essere un regista completamente pazzo, avere la malsana idea di fare un film con Anne Hathaway e allo stesso tempo pochissimi soldi per realizzarlo.

Il risultato non potrà che essere una pellicola che sfocia nel delirio: è ciò che accade in Be my cat: A film for Anne del rumeno Adrian Tofei, film brillante e per qualche motivo non troppo sdoganato che racconta le peripezie malate di un regista seriamente intenzionato a girare un film con l’attrice che ci ha regalato interpretazioni memorabili in capolavori del cinema quali “Pretty Princess”, “Il diavolo veste Prada” e “Appuntamento con l’amore”.

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A Dark Song, il rituale più indie del 2016

Due perfetti sconosciuti si rinchiudono in una casa sperduta nella campagna gallese per realizzare un difficilissimo e pericoloso rituale che può durare mesi, che richiede sacrifici estenuanti e che, nella non scontata ipotesi in cui riesca bene, permette di incontrare nientepopodimenoché il proprio angelo custode e chiedergli un favore.  Cosa potrà mai andare storto?

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