Watcher di Chloe Okuno – in arrivo nelle sale italiane dal 7 settembre – è un ottimo thriller d’esordio denso di suspense e pathos, che racconta in maniera impeccabile gli stadi della paura del pericolo in agguato – dalla prospettiva tipicamente femminile di chi quel pericolo ha dovuto imparare a osservarlo, riconoscerlo e stanarlo.
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The Devil’s Candy: il metal non è la musica del demonio.
Più o meno. C’è che in questo film la musica metal, in netta controtendenza rispetto alla stragrande maggioranza dei film a tema, ha anche un potere salvifico. I demoni li tiene a bada, non li evoca. E finalmente viene dato il giusto rilievo alla natura tenera e coccolosa dei metalhead.
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It comes at night: dove c’è paranoia, c’è casa
Esiste un adagio che recita: less is more. L’idea dell’essenziale che si rivela bastante e che aiuta a liberarsi del superfluo, la cui gestione è spesso complicata, funziona perfettamente nel cupo e claustrofobico (ma anche agorafobico) It comes at night dello statunitense Trey Edward Shults.
In un gioco di inconciliabili dicotomie, tutto ciò che si trova all’esterno della casa, chiunque non faccia parte della famiglia e qualsiasi eccezione alle regole vengono contrapposti alla rassicurante stasi all’interno delle mura domestiche, alla fiducia incondizionata verso i propri cari, al rispetto dei crudeli dictat imposti in nome della salvezza.
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Green Room – All nazis must die
Ogni volta che assistete a un concerto, vi chiedete mai cosa ci sia dietro, come funzioni il meccanismo che porta un determinato gruppo a suonare in un determinato locale? Molte band si affidano alle agenzie di booking, che fanno da intermediari tra i musicisti e i gestori dei locali e si smazzano tutte le incombenze logistiche legate al tour, dall’accordo sui pagamenti alla ricerca di vitto e alloggio, dalle indicazioni per i tecnici del suono alla programmazione delle date. Altre invece optano per il più economico fai-da-te, un po’ come gli Ain’t rights, il gruppo punk squattrinato protagonista di Green Room, pellicola del 2015 diretta dallo statunitense Jeremy Saulnier.
Get out – Scappa: il lato oscuro dell’interracial
Siamo nel 2017, il razzismo è vivo e vegeto e cammina in mezzo a noi. Al di là dei tanti riferimenti al cinema di genere, al di là delle geniali incursioni blandamente comiche sparpagliate nella giusta misura, al di là dell’azzeccato e fortunato esordio registico di Jordan Peele, l’essenza di Get Out sta tutta in quel potente messaggio di fondo. L’odio razziale negli Stati Uniti non ha mai cessato di esistere, ha solo – ehm – cambiato pelle.
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