Migliori film horror 2021

I MIGLIORI FILM HORROR DEL 2021 DA NON LASCIARSI SFUGGIRE

Onorando una tradizione annuale che va avanti dal 2015, Horror Vacui vi propone una selezione di titoli, per lo più dal circuito indipendente e presentati ai festival di genere in giro per il mondo a cavallo tra il 2020 e il 2021, che potrebbero – e dovrebbero – essere distribuiti anche in Italia nel corso del 2022. Saranno pochi invece i titoli di richiamo dello scorso anno a comparire in questa selezione, che come di consuetudine tende a ignorare prequel, sequel, reboot, spin-off, film (giustamente o ingiustamente) iperpubblicizzati e il cinema modaiolo di dubbia qualità. Non stupisca insomma il fatto che non si faccia menzione dell’insoddisfacente Old di M. Night Shyamalan, della trilogia netflixiana di facile consumo Fear Street di Leigh Janiak, o del successo internazionale di A Classic Horror Story di Roberto De Feo e Paolo Strippoli o ancora di quel meraviglioso body-horror queer che è Titane di Julia Ducurnau: se n’è già parlato abbastanza.
Ecco dunque a seguire i film horror più interessanti del 2021 secondo Horror Vacui, accompagnati da un’indicazione sull’eventuale presenza di spoiler e le parole chiave di riferimento.

OFFSEASON [Stati Uniti – regia di Mickey Keating]
#sovrannaturale #villaggio maledetto

[No spoiler] Lone Palm è una deliziosa isoletta con vocazione turistica che apre e chiude i battenti in concomitanza con l’arrivo e la fine dell’estate. Durante la bassa stagione, l’unico ponte di accesso viene chiuso, le attività si interrompono e i soli a rimanere nell’isola sono gli abitanti locali. Marie Aldrich, figlia di una donna che su quell’isola ci è nata, cresciuta e fuggita, provando a evitarne il ritorno fino all’ultimo dei suoi giorni scanditi dal delirio, dalla malattia e da invisibili terrori, si reca a Lone Palm dopo aver ricevuto una lettera dal custode del cimitero, convocata d’urgenza per l’avvenuta profanazione della tomba materna. Giunta l’ultimo giorno prima della chiusura dell’isola e del tutto ignara di ciò che l’attende, Marie si troverà catapultata in una realtà da incubo in cui tutti i deliri della madre sull’isola maledetta in cui non avrebbe voluto tornare mai, assumono man mano senso e fisicità: ogni angolo della città è posseduto da qualcosa di terrificante, che farà di tutto per impossessarsi anche di lei.
Offseason, che Horror Vacui dichiara senza titubanze il miglior horror del 2021, ha le vibes di un episodio di Ai Confini della Realtà con qualche eco del cinema di John Carpenter e la forza conturbante del gotico americano: il legame con le due precedenti opere del talentuoso Keating – l’espressionistico Darling e il violento Carnage Park – è poco evidente, ma c’è.

THE INNOCENTSDe uskyldige [Norvegia – regia di Eskil Vogt]
#sovrannaturale #bambini

[No spoiler] Due bambine, appena trasferitesi insieme alla famiglia in una nuova casa, iniziano a fare conoscenza coi bambini del vicinato e trascorrono insieme molto tempo tra giochi e scoperte. L’immagine si fa però un po’ meno idillica quando si scopre che una di loro, autistica e apparentemente incapace di comunicare con l’esterno, è in connessione telepatica con l’amica, mentre un altro, con un’innata tendenza alla cattiveria e ai comportamenti da serial killer, è dotato di vaghi poteri telecinetici ed è in grado di entrare nella mente altrui, condizionandone le azioni. The Innocents, altra stupenda e inclusiva pellicola indipendente del 2021 con la sua algida intensità e con una recitazione incredibilmente equilibrata condotta quasi esclusivamente da bambini, porta già dal titolo un fardello piuttosto gravoso per il richiamo alla pellicola “Suspence” nota anche come Gli Innocenti (1961), tratta a sua volta da Il giro di vite di Henry James, che non è infatti casuale per quanto le affinità di trama si limitino a pochi elementi comuni, nonché l’appartenenza al filone dei film sui bambini di merda che fanno cose molto cattive, un tema già trattato tempo fa su questo blog in un lungo listone dedicato.

THE SADNESS – Ku Bei [Taiwan – regia di Rob Jabbaz]
#zombie #gore

[No spoiler] A Taiwan circola da tempo un virus, che non tarda a produrre una variante del tutto eccezionale, trasformando gli infetti in sadici assassini animati unicamente dall’impulso a uccidere, torturare e stuprare. La diffusione del contagio avviene in maniera estremamente rapida e incontrollata e non sembra esistere alcun rimedio. Attraverso le disavventure di una giovane coppia, che dovrà combattere duramente per ricongiungersi e salvarsi, si assiste al collasso progressivo dell’assetto sociale e alla granguignolesca caduta di ogni tabù, tra atti cannibalistici, orge di sangue, spappolamenti e supplizi di ogni sorta, violenze sessuali di ogni genere e grado. The Sadness è una variazione estrema e singolare dello zombi movie, perché i contagiati non sono morti, né tantomeno perdono la capacità di parlare, ricordare o ragionare. A differenza dei cadaveri ambulanti affamati di cervelli o carne umana, gli infetti hanno perso la capacità di controllare gli istinti più violenti e ripugnanti o di inibire i comportamenti più aggressivi e inaccettabili, mettendo a nudo la parte più oscura e cattiva che giace sopita in ognuno di noi. Una riflessione sgradevole e visivamente esplicita sull’innata malvagità insita nella natura umana che si intreccia a una messa in scena di buona esecuzione, in linea con gli stilemi e i cliché degli zombi movie.

CENSOR [Regno Unito – regia di Prano Bailey-Bond]
#metacinema #psicologico

[No spoiler] Regno Unito, anni Ottanta. Il rapporto tra la censura cinematografica e i cosiddetti “nasties“, film dai contenuti espliciti, violenti e osceni di cui ovviamente il genere horror è portabandiera, non è dei più facili: la pellicola destinata alla proiezione su grande schermo viene sempre sottoposta al vaglio e al taglio dei censori. La vhs invece no, con il conseguente trionfo delvideo nasty“, film a basso budget, per lo più horror o exploitation, distribuito unicamente in videocassetta. Un mercato fiorente, stroncato a seguito di scandali e polemiche da una legge approvata dal parlamento inglese nel 1984 (il Video recordings act), che imponeva alle vhs, al pari delle pellicole, di essere valutate, classificate e spesso “purgate” prima della distribuzione.
Enid è una zelante censora di video nasty, dedita con abnegazione al proprio lavoro. A tormentarla non sono tanto gli orrori di scene splatter che osserva e valuta quotidianamente, quanto il ricordo della sorella minore, scomparsa nel bosco anni prima e mai più ritrovata. Finché un giorno queste due dimensioni convergono all’interno del piano della realtà: Enid guarda un film di un oscuro regista estremo, la cui protagonista sembra somigliare parecchio alla sorella e sembra aver bisogno di aiuto. L’unico modo per trovare la donna sarà entrare in quel mondo di orrore e finzione. Ma come uscirne? Può la realtà essere editabile al pari di una pellicola in fase di montaggio? Censor parla di cannibalismo cinematografico e di produzione filmica; parla di certa insistenza misogina sul corpo femminile come soggetto privilegiato di torture e violenze; parla dell’orrore come forza lacerante, espressione di un trauma in grado di evadere dai meandri della mente del singolo per invadere, in maniera imprevedibile, incontrollabile e quindi terrificante, la realtà circostante generando nuovi orrori e nuove paure. La materica eleganza della regia ricorda per certi versi “In Fabric” di Peter Strickland, mentre la vicenda di interscambio straniante e allucinato tra dimensione interiore e realtà esterna filtrata da ferree convinzioni, rigide regole e sacrifici espiatori ricordano “Saint Maud” di Rose Glass. La fotografia e l’assetto visivo di certe scene ricordano il glorioso cinema horror degli anni Settanta e Ottanta, ma richiami e somiglianze a parte, Censor è una buona opera prima dai ritmi (volutamente?) molto lenti, maturazione di temi in parte già esplorati nel precedente cortometraggio “Nasty”, diretto dalla stessa Bailey-Bond.

THE MEDIUM [Thailandia -regia di Banjong Pisanthanakun]
#possessione #folklore

[No spoiler] In Thailandia, lo sciamanesimo è di casa, anzi, di famiglia: semplificando per amor di brevità (ma il discorso sull’animismo è complesso e molto interessante) esistono numerose divinità – sia benevole che malevole – che, individuata la persona adatta ad accoglierle in sé, la possiedono conferendole il dono di una sorta d’intercessione divina da tramandare alle generazioni future dei suoi consanguinei. Una troupe di documentaristi decide di seguire per alcune settimane la sciamana Nim, che oramai da anni rappresenta, per gli abitanti di un piccolo villaggio rurale nella regione dell’Isan, l’intermediaria della dea Ba Yang – e la sua strana famiglia. Ben presto iniziano a verificarsi strani e preoccupanti avvenimenti tra i familiari di Nim, mentre la giovane nipote Mink mostra chiari segni di malessere turbamento e aggressività. Cosa sia succedendo e perché, toccherà alla sciamana e ai suoi parenti scoprirlo, in un crescendo di eventi spaventosi puntualmente documentati dalla troupe, tra possessioni, esorcismi e complessi rituali ispirati al più tradizionale folklore locale. The Medium è un horror colossale, tra i più spaventosi del 2021, che non fa sconti a nessuno, appena appena penalizzato nella fluidità della messinscena dall’espediente del finto documentario – alquanto evitabile – e da interpretazioni in cui il confine tra realistico, dimesso e amatoriale è difficilmente individuabile.

CAVEAT [Irlanda, Regno Unito – regia di Damian Mc Carthy]
#sovrannaturale #casa infestata

[No spoiler] Isaac, un uomo privo di memoria, viene ingaggiato da un sedicente amico per un lavoro dai connotati a dir poco sinistri: occuparsi di una giovane orfana affetta da disturbi psichici di grossa entità e rimasta a vivere, in barba a qualsiasi logica, completamente sola nella casa in cui il padre è morto suicida e la madre è scomparsa. L’abitazione, quasi decomposta tra pareti muffite e scalcinate, muri sfondati e stanze immerse nel buio, si trova in un’isoletta sperduta da qualche parte in Irlanda. Isaac, allettato dalla promessa di ben duecento sterline giornaliere, accetta il lavoro e dopo varie esitazioni accetta anche tutte le surreali condizioni che esso comporta.
Pur con tutta la buona volontà possibile, facendo appello alla voglia di dar fiducia alla narrazione e dopando all’estremo ogni briciolo di sospensione dell’incredulità rimasto sul pianeta, risulta parecchio difficile lasciarsi andare e considerare plausibili queste premesse per la messa in scena. Può la sola atmosfera infinitamente cupa e angosciante di un film sopperire alle numerose, paradossali e imperdonabili lacune di una sceneggiatura sforacchiata e fragile? Nel caso di questo film, sì, perché le voragini nella scrittura e gli abissi scavati da prospettive diegetiche prive di senso vengono parzialmente riempiti dal continuo risuonare di un’inquietudine quasi atavica legata al buio, al silenzio, all’isolamento e all’inciampo sull’impossibile. [Leggi la recensione completa di Caveat]

THE FEAST [Regno Unito – regia di Lee Haven Jones]
#folklore #horror ecologico

[Spoiler parziali] Tre semplici moniti: non dimenticare mai le tue origini, non abusare della Natura per avidità e non comportarti in maniera schifosamente borghese. Glenda, accomodatasi in un buon matrimonio e in una casa lussuosa che la fanno sentire una vera signora, è riuscita a non seguire nessuno dei tre. E ora sta per dare una grandiosa cena a base di cacciagione, aiutata da una silenziosa e misteriosa cameriera, che appena messo piede in casa sembra alterare gli equilibri già precari di una famiglia tutt’altro che felice. The Feastmessa in scena minimale, interpretazioni composte e solenni, fotografia essenziale e perfezionista – è un elegantissimo folk-horror ecologico interamente recitato in lingua gallese, ambientato all’interno di una casa tanto perfetta nella sua ricercatezza quanto angosciante e claustrofobica nella sua fredda incapacità di proteggere chi vi dimora, un piccolo paradosso architettonico che fa a pugni con il paesaggio rurale circostante. Attraverso la rivisitazione di alcune figure tipiche del folklore gallese come quella della vendicativa Blodeuwedd, The Feast rivolge una critica per nulla velata al capitalismo, al consumismo, allo sfruttamento dissennato delle risorse naturali e allo stile di vita borghese, riducendone a brandelli i frutti – luccicanti fuori, marciti dentro – con poche semplici mosse.

CANDYMAN [Stati Uniti, regia di Nia Da Costa]
#sovrannaturale #slasher sperimentale

[No spoiler] Non si sentiva parlare di Candyman da circa trent’anni: nel 1992, il complesso abitativo di Cabrini-Green a Chicago (una pessima nomea delinquenziale e una lunga storia di tentativi falliti di cosiddetta riqualifica alle spalle) fa da location per una pellicola tratta da un libro di Clive Barker, diretta da Bernard Rose e destinata a diventare un cult. Quel complesso di case, inquietante simbolo della gentrificazione e della discriminazione razziale in atto negli Stati Uniti, sarebbe stato demolito quasi interamente da lì a poco per non turbare lo sguardo dei borghesi dirimpettai delle zone circostanti: solite storie di palazzoni tristi lasciati in balia della criminalità, di ricchi che si fanno largo in casa a suon di ingiustizie sociali nei confronti dei più svantaggiati, di un quartiere che diventa una piccola comunità di mutuo soccorso nonché location di delitti piuttosto piuttosto singolari. Oggi non rimane molto di quel complesso, divenuto simbolo del disagio abitativo urbano statunitense ma anche della prospettiva distorta con la quale i bianchi, quelli ricchi, guardano alle cose, additando l’isolato come un luogo degli orrori senza chiedersi a causa di chi tali orrori si siano originati. Per circa vent’anni nessuno ha più pronunciato il nome di Candyman, l’uomo torturato e ucciso dai bianchi che una leggenda metropolitana locale vuole circondato da api e con un grosso uncino al posto della mano che, se invocato, si presenta per uccidere. E per molti anni nessuno ha pronunciato i nomi delle reali vittime legate al quartiere di Cabrini-Green e alla comunità afroamericana: Dantrell Davis, ucciso da un colpo di pistola vagante durante una faida tra gang; Girl X, stuprata, avvelenata, torturata e lasciata in fin di vita con gravi danni cerebrali permanenti; Ruthie May McCoy, uccisa da qualcuno entrato in casa sua sfruttando le intercapedini nascoste del palazzo, collegate tra loro e occultate dai mobili-specchio a parete del bagno, solo per nominarne alcuni. Invece pronunciare quei nomi, e in generale di chiamare i fatti col proprio nome e restituire alla storia la giusta prospettiva consentendo ai protagonisti di riappropriarsene, è il fulcro di questo importantissimo sequel, girato da Nia Da Costa – regista afroamericana – con un cast interamente formato da attori neri, che tornando alle origini del mito su Candyman, ridefinisce i connotati di una vicenda che simboleggia il trauma generazionale subito nel corso degli anni dalla comunità afroamericana da parte della supremazia bianca attraverso l’ingiustizia sociale. Il film è già importantissimo per questo: ma è anche girato molto bene, con una sua identità, CGI quanto basta, ricerca di spazialità e colori in linea con l’angoscia urbanizzata fulcro del racconto, buone interpretazioni, la scelta di sottolineare l’importanza della tradizione orale narrativa attraverso singolari inserti di animazione con silohuettes e ombre ispirati ai lavori dell’artista Kara Walker e della regista Lotte Reininger, e il coraggio di fare qualcosa di diverso, potenzialmente incompreso da uno sguardo superficiale. Candyman è uno dei pochi film provenienti dalla grande distribuzione del 2021 ad aver meritato l’uscita nei cinema.

GAIA [Sudafrica – regia di Jaco Bouwer]
#horror ecologico #funghi

[Spoiler moderato] Gabi è una guardia forestale impegnata in una missione di controllo nelle intricate profondità di una zona ricoperta di alberi, piante e fitti misteri: perse le tracce del suo collega e feritasi con una trappola, la donna incontra due uomini, padre e figlio, che da anni vivono nella foresta, abbracciando uno stile di vita a metà strada tra il primitivo e il post-apocalittico. In compagnia dei due uomini, parallelamente all’innescarsi di curiose dinamiche interpersonali, Gabi si accorgerà ben presto di quanto l’ecosistema che li circonda sia per loro ostile, scorgendo la presenza di mostruose creature antropomorfe ibridate con funghi e altre entità parassitarie: esseri umani, un tempo, trasformati in entità prive di libero arbitrio, rispondenti agli ordini di Madre Natura.
Per ognuno dei tre, la lotta per la sopravvivenza avrà risvolti molto diversi.
Horror ecologico contaminato con elementi del body horror, del coming of age e della psichedelia visuale (con qualche incursione della filosofia e addirittura della religione, con tanto di citazione biblica), Gaia non restituisce l’idea di una natura meramente vendicativa quanto di un sistema che stabilisce la propria sovranità rispetto all’intruso per eccellenza, l’essere umano, fagocitandone la presenza e rendendolo parte attiva del bioma locale, modificandone radicalmente l’esistenza e annullandone l’innata ostilità verso l’ambiente. E costringendolo infine a riflettere su sé stesso e sul proprio ruolo in relazione al pianeta e alla vita.

GIRL NEXT [Stati Uniti – regia di Larry Wade Carrell]
#fantascienza #torture porn

[Spoiler moderato] Lorian – giovane, bella, perfetta – viene rapita da una perversa coppia di trafficanti di esseri umani, specializzati nella realizzazione di costose bambole umane dall’aspetto plasticoso e dagli atteggiamenti da mite schiava sessuale, risultati di un lungo e traumatico training con lavaggi del cervello a suon di elettroshock ed enormi quantità di allucinogeni. Le ragazze modificate e confezionate, ribattezzate tutte “Sofia”, vengono poi destinate a un fiorente mercato di ricchi acquirenti sparsi per il mondo. Di mezzo ci sono anche una misteriosa droga dai potenti effetti trasumananti e un ancor più misterioso culto che opera secondo schemi ben poco intellegibili.
Sembra segnato il destino di Lorian, la prossima Sofia dal grande potenziale estetico, che giorno dopo giorno viene sottoposta a torture e trattamenti di ogni sorta per raggiungere lo stadio finale. Se non fosse che Lorian è in gamba, intelligente e in grado di manipolare i suoi aguzzini. E se non fosse che, tra un elettroshock e l’altro, riesce a raggiungere uno stadio della coscienza che le consentirà di non cedere all’annichilimento intellettivo e, con l’aiuto di un’altra strana ragazza tenuta in cattività dagli stessi aguzzini, tentare la fuga.
Con buon mix di elementi da rape & revenge, torture porn, drugsploitation e fantascienza distopica, Girl Next ha una trama fitta, per nulla prevedibile e ricca di eventi, a tratti difficile da seguire per il continuo interscambio tra gli stati allucinatori della protagonista e gli eventi reali, ma sempre sostenuta da interpretazioni solide e credibili. Tra le gemme nascoste del 2021.

THE STRINGS [Canada – regia di Ryan Glover]
#horror psicologico #casa infestata

[No spoiler] Una cantautrice dal passato turbolento cerca rifugio e ispirazione in una vecchia casa di famiglia, affossata nella neve e tra case abbandonate, circondate da una fama sinistra. Inizialmente sembra di trovarsi nei territori familiari dell’horror d’interni, con i consueti scricchiolii notturni, rumori inspiegabili, presenze impercettibili e inverosimili allo stesso tempo: c’è qualcosa di oscuro e pauroso nascosto nella casa, o forse nella mente di chi vi dimora? E se invece quei rumori e quegli eco spaventosi provenissero da un altrove ben più lontano e immaginabile, e gli spettri fossero solo dei burattini animati dai fili invisibili tirati nell’oscurità del terrore più profondo? Con un’esecuzione impeccabile e molto molto lenta, The String decostruisce il meccanismo della tensione in favore di quello dell’angoscia, presenza costante, incombente e ineluttabile. L’interpretazione intensa e malinconica della protagonista, l’ottima colonna sonora – parte integrante del film – e l’atmosfera triste ammantata di freddo mistero completano questo film indipendente rendendolo molto suggestivo.

HONEYDEW [Stati Uniti – regia di Devereux Milburn]
#horror rurale #anziani

[No Spoiler] Tra le insidie nascoste nelle piantagioni di grano, potrebbe nascondersi un parassita fungino chiamato “Sordico” che, una volta ingerito dagli animali o dagli uomini, provocherebbe sintomi piuttosto singolari come cancrena, convulsioni e allucinazioni. O almeno, questo il punto di partenza, spiegato in maniera confusamente didascalica a inizio film, per le vicende raccontate in Honeydew: una coppia, rimasta appiedata durante un camping andato male, trova ospitalità in casa di un’anziana signora palesemente fuori di zucca. Nonostante chiari, incalzanti ed evidenti segnali di pericolo e squilibrio mentale, i due decidono saggiamente di trascorrere la notte in casa dell’anziana, per pentirsene ben presto, come da copione, arrivando a scoprire il contorto e raccapricciante legame tra il parassita Sordico, gli effetti sulla popolazione locale e la ricerca di soluzioni alimentari alternative ed estreme. Esempio confuso di horror rurale e (sebbene ambientato nel civilissimo Massachusetts) del gotico americano, Honeydew si lascia perdonare le numerose insensatezze della messinscena, la debolezza nelle interpretazioni dei protagonisti e l’inutile cameo di Lena Dunham perché merita senz’altro una menzione d’onore tra gli esponenti dell’horror geriatrico, ovvero i film con protagonisti anziani totalmente malvagi e ripugnanti, ai quali è stato dedicato un lungo listone su Horror Vacui.

COMING HOME IN THE DARK [Nuova Zelanda – regia di James Ashcroft]
#thriller #vendetta

[No Spoiler] Un tranquillo weekend in famiglia si trasforma in un lunghissimo e angosciante road-trip da incubo quando Hoaggie, un insegnante di mezza età, insieme alla moglie e ai due figli adolescenti, viene approcciato da due sconosciuti armati di fucili e delle peggiori intenzioni. Fatti subito fuori senza pietà e apparentemente senza motivo con una freddezza agghiacciante i figli, i due uomini costringono Hoaggie e la moglie ad accompagnarli fino a una destinazione segreta, rivelando pian piano il motivo della loro aggressione, da cercare nel non trasparentissimo passato del mite insegnante. Un film violento, cattivo, senza orpelli e di grande rigore formale, claustrofobico e parecchio cupo.

VAMPIR [Serbia – regia di Branko Tomovic]
#vampiri #folklore

[No spoiler] Nel paesino di Rujišnik, Serbia meridionale, sembra tutto strano e misterioso: certe anziane signore vestite di nero appaiono nei sogni – anzi negli incubi-, in chiesa non c’è mai nessuno, il cibo va a male subito dopo averlo comprato, il camposanto non trova pace. Se ne rende presto conto Arnaud, giunto da Londra alla ricerca di un posto tranquillo e assunto come guardiano del cimitero. Incapace di comunicare con la popolazione locale di lingua serba e di comprenderne le azioni e le intenzioni, Arnaud si trova ben presto circondato da attenzioni non gradite da parte degli abitanti del borgo, assediato da incubi feroci e sanguinari, isolato in un luogo a lui sconosciuto e assalito dal sospetto sempre più concreto che il folklore del luogo e i vecchi racconti, peraltro realmente documentati nel diciottesimo secolo, di non-morti tornati in giro per il paese a vampirizzare i vivi, siano ispirati a fatti realmente accaduti e in procinto di accadere ancora. Variazione sobria, intimista e ben congegnata del mito del vampiro, che attinge a piene mani dal folklore serbo optando per una narrazione posata che si riappropria del tempo e dello spazio per farne coordinate interiori di disorientamento e terrore, tra solitudine, incomunicabilità e desolazione.

V/H/S/94 [Indonesia/Stati Uniti – registi vari]
#horror antologico #esperimenti

[No spoiler] Quarto capitolo di un fortunato franchise di horror antologici orientati allo stupore, al principio della continua mutabilità e contraddistinti da uno sperticato amore per i mostri, i culti apocalittici e il body horror, V/H/S/94 unisce cinque diversi frammenti, apparentemente slegati tra loro per trama e ambientazione, attraverso una storia principale – un blitz antidroga delle forze speciali in un vecchio casermone dismesso, all’interno del quale troveranno ciò che rimane di un misterioso culto suicida che si nutre di filmati violenti in vhs da somministrare agli adepti – a fare da cornice. I segmenti, tutti in videocassetta data anche l’ambientazione nel 1994, parlano di eventi inspiegabili e mostruosi: la leggenda metropolitana di una creatura dalle fattezze di ratto nascosta nelle fogne; una veglia funebre deserta con sinistri rumori provenienti dall’interno della bara; un gruppo di bifolchi che progetta una sgangherata cospirazione avvalendosi di una misteriosa e potentissima arma segreta; uno scienziato folle che costruisce macchine ibridate con l’uomo utilizzando metodi decisamente poco ortodossi.
Anche questo capitolo della saga, gode della presenza di nomi noti alla regia: tra questi spicca Timo Tjahjanto, già regista del demoniaco “May the devil take you“, qui alle prese con il body horror e l’inevitabile mad scientist in quello che appare come uno dei frammenti più riusciti, “The Subject“.

THE QUEEN OF BLACK MAGIC – Ratu Ilmu Hitan
[Indonesia – regia di Kimo Stamboel]
#magia nera #folklore

[No spoiler] Tre amici d’infanzia si ritrovano da adulti, insieme a mogli e figli, nell’orfanotrofio in cui sono cresciuti per visitare l’uomo che si era preso cura di loro, ora anziano e gravemente malato. Quella che avrebbe dovuto essere una piccola gita fuori porta all’insegna dei ricordi, si trasforma gradualmente in un inferno personale e collettivo, scatenato proprio dal riemergere di memorie, traumi e misteri dal passato. Sulla casa e su chi vi dimora grava infatti una forza oscura e terrificante, che inizia a manifestarsi coi raccapriccianti segnali tipici della magia nera: apparizione di insetti striscianti, azioni in stato di trance, perdita di coscienza, allucinazioni e gesti incontrollabili sempre più sanguinolenti. Chi si nasconda dietro a questi atti di stregoneria e perché, lo scopriranno gli ospiti dell’orfanotrofio, nel più sconvolgente dei modi.
The Queen of Black Magic (uscito nel 2019 ma approdato in Europa solo due anni dopo) richiama – pur non essendone propriamente un remake o un reboot – l’omonimo film del 1981, sul quale troverete un approfondimento all’interno dello speciale su horror e magia nera nel cinema indonesiano, per l’analogia con alcuni personaggi e con il tema portante della vendetta attraverso la magia nera, ma con effetti speciali estremamente credibili e una narrazione fitta di eventi e non dispersiva, un accettabile numero di jumpscare e un’altrettanto congrua quantità di ottime trovate sceniche. Ancora una volta l’Indonesia regala un significativo apporto – e una ventata di marcescente freschezza – al genere horror, grazie ai suoi maestri del brivido contemporaneo: la sceneggiatura è stata scritta da Joko Anwar (Satan’s SlavesImpetigore), mentre alla regia c’è Kimo Stamboel, già autore e co-direttore insieme a Timo Tjiahjanto (V/H/S2, May the Devil take you, V/H/S94) di due interessanti e poco conosciute pellicole: Macabre del 2009 e Killers del 2014.

BROADCAST SIGNAL INTRUSION [Stati Uniti – regia di Jacob Gentry]
#teorie del complotto #thriller-noir #trasmissioni pirata

[No spoiler] Nel 1977, durante la trasmissione di un telegiornale del Regno Unito, si verificò un’interferenza di alcuni minuti – ovvero un’intrusione nel segnale di broadcasting – da parte di una sedicente entità aliena che portava un messaggio di monito e pace per la Terra; il fatto, soprannominato “Interferenza di Vrillion“, sarebbe a breve stato liquidato come una burla da parte di un ignoto individuo in grado di inviare messaggi pirata. Dieci anni dopo, un tizio con indosso una maschera in gommapiuma di un personaggio televisivo, interruppe le trasmissioni di ben due emittenti locali di Chicago, pronunciando frasi prive di senso in quello che viene ricordata come l'”Interferenza di Max Headroom“. Nel 2006, durante un programma sportivo negli Stati Uniti, secondo una creepypasta chiamata l’Incidente del Wyoming, sarebbe andata in onda un’intrusione del segnale dalla durata di ben sei minuti, durante i quali vennero trasmesse immagini piuttosto inquietanti ed effetti audio a infrasuoni, in grado di turbare e generare malessere negli spettatori. Nel 2013 qualcuno interruppe un programma televisivo in Montana per avvisare che i morti si stavano rialzando dalle loro tombe. Eccetera, eccetera (chi si fosse incuriosito troverà qui un elenco esaustivo). Vere o meno, le storie di interferenze pirata durante le trasmissioni televisive hanno un potenziale disturbante piuttosto elevato e sono alla base del plot di Broadcast Signal Intrusion, un thriller-noir incentrato sull’ossessiva ricerca, da parte di un archivista televisivo rimasto sconvolto dall’improvvisa scomparsa nel nulla di sua moglie, di indizi e collegamenti nascosti dietro alcuni misteriose testimonianze in vhs di intrusioni nel segnale televisivo conservate gelosamente, anzi occultate, nel corso degli anni: e se quel personaggio camuffato dietro un’inquietante maschera di lattice non fosse un burlone esibizionista in vena di apparire in TV ma un serial killer? Pellicola con un elevato gradiente di tensione, paranoia, solitudine e disperazione, ambientata negli anni Novanta ma estremamente attuale e calzante per le manie persecutorie e complottistiche tanto in voga in questo strano e confuso periodo storico che stiamo vivendo.

THE STYLIST [Stati Uniti – regia di Jill Gevargizian]
#serial killer #capelli

[No spoiler] Claire è una bravissima parrucchiera, in grado di rendere felice ognuna delle sue clienti donando loro l’acconciatura perfetta, alla modica cifra di uno scalpo! Claire infatti, dietro un’apparente timidezza, nasconde un disagio psichico di tutto rispetto: ogni donna dalla chioma fluente e dalla personalità dominante diviene per lei motivo di crescente ammirazione, ossessione, invidia e desiderio, culminanti puntualmente nell’omicidio della malcapitata di turno, con rimozione dello scalpo e conservazione dello stesso in un piccolo santuario delle parrucche sanguinolente, dove Claire indossandole potrà essere chiunque, fuorché sé stessa, in una spirale di crescente follia. The Stylist è un uno slasher alternativo tutto al femminile di ottima fattura, girato e montato con cura e raffinatezza, dalla fotografia vagamente retrò.

THRESHOLD [Stati Uniti – regia di Powell Robinson Patrick e Robert Young]
#maledizione #setta #road movie

[No spolier] Virginia si è faticosamente lasciata alle spalle un passato da tossicodipendente, ma anche un misterioso e inquietante rituale di maledizione perpetrato ai suoi danni da una sfuggente setta locale. Dopo aver convinto con altrettanta fatica il fratello Leo che questa volta non si tratta di deliri da astinenza o di contorti e disperati tentativi di accedere ad altre e nuove droghe, i due intraprendono un road trip scandito dall’alternanza di picchi paranoidi ed eventi inspiegabili, nel disperato tentativo di annullare la maledizione e recuperare il rapporto fraterno lacerato nei lunghi anni scanditi dall’alternarsi di rehab e ricadute nel buio della dipendenza. Treshold è un piccolo film indipendente che fa il possibile per trarre il meglio da ciò che ha, riuscendoci più che decorosamente, nonostante un budget piuttosto basso, puntando sulla credibilità delle interpretazioni e sul dinamismo di un plot semplice e lineare.

AL MORIR LA MATINEE – Red Screening [Uruguay – regia di Maximiliano Contenti]
#cinema #slasher

[No spoiler] In un pomeriggio piovoso, un gruppo di persone si fionda al Cinema Opera (sì, è un omaggio a Dario Argento), più interessato a trovare rifugio dalle intemperie e attendere il ritorno del sereno che alla proiezione in corso del film “Frankenstein: Day of the Beast” di Ricardo Islas, film esistente nella realtà e destinato a rimpinguare le fila dell’interessantissimo mondo dei film dentro ai film (qui se ne trovano tantissimi e su quest’altro sito invece si indaga sui finti film dentro altri film). Anche un pericoloso serial killer ha trovato scampo dalla pioggia in quel cinema, e ben presto inizierà a far fuori, uno dopo l’altro, gli ignari spettatori. L’ambientazione di questo slasher, l’interscambio tra gli eventi orrorifici della proiezione e gli accadimenti in sala e il modus operandi dell’assassino non possono che ricordarci il meraviglioso Angoscia di Bigas Luna, il cui poster appare brevemente nelle inquadrature insieme a tanti altri titoli cult dell’horror anni Ottanta.



SLAXX [Canada – regia di Elza Kephart]
#slasher #commedia horror #jeans assassini

[Spoiler moderato] Chiunque abbia mai lavorato in un negozio di abbigliamento, soprattutto se all’interno di qualche multinazionale che sparpaglia negozi in franchise stracolmi di vestiti anonimi e di dubbia qualità spacciati per emblemi assoluti di stile, forte di slogan vuoti da decerebrati, procedure alienanti di briefing e indottrinamento aziendale e promesse di gestione etica della catena produttiva più false di una banconota da sette euro, riconoscerà l’habitat naturale dei protagonisti di questa pellicola canadese che vuole proporre una critica per nulla velata allo sfruttamento del lavoro minorile e della delocalizzazione non etica del lavoro nei paesi in via di sviluppo: commesse sgallettate, store manager che s’illudono di poter far carriera, grandi manager regionali con manie di onnipotenza che scompaiono al cospetto di grandissimi manager nazionali, tutti racchiusi in una matrioska di qualifiche inesistenti e discorsi motivazionali. Durante un turno notturno di allestimento del negozio in vista della presentazione di un nuovo rivoluzionario jeans e in attesa della visita in esclusiva di una famosa influencer di moda, i dipendenti della CCC rimangono chiusi all’interno dello store, uccisi uno dopo l’altro da un killer inarrestabile: i jeans Slaxx, che iniziano a camminare, muoversi, uccidere, strangolare, squartare e sopprimere chiunque si trovino di fronte. Questo slasher vagamente demenziale con personaggi -cliché monodimensionali e una spiccata vocazione politica di critica al sistema non riesce a – né vuole – farsi prendere sul serio nemmeno per un attimo, regalando però una scena apicale nell’universo del trash, con il jeans che balla a ritmo di una canzone di Bollywood, raggiungendo per direttissima l’irresistibile compagine dei killer più assurdi nel cinema horror, dei quali troverete un esaustivo ragguaglio in questo listone.

MENZIONI SPECIALI

Tra i film mainstream del 2021 degni di nota spiccano senza ombra di dubbio Lamb (Dýrið) di Valdimar Jóhannsson, affascinante e minimale favola oscura folkloristica di ambientazione islandese made in A24, poco o per nulla legata all’horror; The Green Knight di David Lowery (già direttore di A ghost story), onirico fantasy ispirato al ciclo arturiano con protagonista un antieroe impegnato a scardinare i dettami della mascolinità tossica legati all’immagine del cavaliere senza macchia e senza paura, anch’esso decisamente lontano dagli stilemi dell’horror; infine due film dal filone dell’horror immobiliare con un duetto di case infestate e paurose di cui s’è parlato tanto: The Deep House (La casa in fondo al lago) di Alexandre Bustillo e Julien Maury (già registi di À l’intérieur), intrigante variazione sul tema della casa infestata perché interamente ambientato sott’acqua, in una casa sommersa da un lago, e The Night House (La casa oscura) di David Bruckner (The Ritual), con una vicenda di apparizioni misteriose e architetture da incubo parecchio notevole.

Premio “NO GRAZIE”

Per i coraggiosi giunti fin qui, ecco invece i film che, con buona pace degli sponsor che hanno pagato fior di milioni, non hanno suscitato nulla, se non un vago fastidio, in Horror Vacui, provando ancora una volta la distanza siderale tra il Cinema e l’industria cinematografica, tra l’horror indipendente che vuol rinnovarsi e sorprendere e il circuito mainstream che vuol solo saziare l’infinita voglia di mediocrità di un pubblico pigro e poco curioso: bocciati Malignant di James Wan, perché usare molti soldi per fare un B-movie significa non fare un B-movie, e se quel tripudio di scene trash e momenti improbabili non fa pare di un B-movie, allora fa parte di un cattivo film; Last Night in Soho di Edgar Wright, perché un film “di contenuto” ben realizzato non può essere tale se poi la scrittura fa pena, nonostante le buone intenzioni di realizzare una pellicola di denuncia sullo sguardo predatorio maschile e sullo sfruttamento delle donne nel mondo dello spettacolo attraverso un utilizzo studiato e significativo delle luci, dei colori, della musica, dei personaggi, nonostante un buon cast, nonostante tutto; The Unholy (Il sacro male) di Evan Spiliotopoulos e non credo serva nemmeno spiegare il perché. Infine una doppietta di film interpretati da quel prezzemolino di Nicolas Cage che, pellicola dopo pellicola, incredibilmente sembra non essere aver ancora imparato a recitare: con sommo rammarico, Prisoner in a Ghostland di Sion Sono perché il confine tra strano, sperimentale e confuso, mal fatto è sottile ma esiste e si vede; e Willy’s Wonderland, frustrante e noiosa trashata che disattende ogni aspettativa di divertimento pur avendo a disposizione dei coloratissimi animatronics assassini.

Quali sono i vostri film horror preferiti del 2021? Quali tra quelli elencati qui vorreste vedere? Scrivetelo nei commenti qua sotto!

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